giovedì, Marzo 28, 2024
9 C
Milano

Fondatori: Gilberto Oneto, Leonardo Facco, Gianluca Marchi

Veneto e italia, un rapporto tormentato da sempre

Da leggere

di ETTORE BEGGIATO

Il tormentato rapporto fra il Veneto e lo stato italiano è ritornato d’attualità grazie all’iniziativa di alcuni docenti e intellettuali italiani che hanno pensato bene di rivolgersi al Parlamento in termini perentori: al Veneto ogni ulteriore forma di autonomia non deve essere concessa… e via una serie di considerazioni che vi risparmio.

E’ incredibile di come, laggiù in Italia, non ci si voglia render conto di quanto diffusa sia la voglia di autonomia, di autogoverno qui nel Veneto, e da sempre. A Roma devono capire che non è una moda passeggera, ma è battaglia che i veneti portano avanti da 150 anni, dal momento in cui, attraverso un plebiscito-truffa, furono annessi all’Italia (21 e 22 ottobre 1866). E in questo senso vorrei riproporre un documento di straordinaria attualità, scritto nel 1889 da Ferruccio Macola, direttore della “Gazzetta di Venezia”.

Il Macola fu sicuramente uno dei protagonisti dell’ottocento nel Veneto: nato a Camposanpiero (PD)  nel 1861, fu uno dei fondatori del quotidiano genovese “Secolo XIX” del quale divenne anche direttore;  eletto più volte deputato per la Destra nel collegio di Castelfranco, è ricordato per il  duello alla sciabola con il deputato radicale Felice Cavallotti,  che ebbe la peggio e morì nel marzo del 1898 a Roma.

Ma torniamo al periodo veneziano della Gazzetta e alla sua relazione  sul progetto  per costituire una federazione politica regionale.

E’ un documento di notevole importanza che dimostra come nel 1889,  appena 23 anni dopo l’annessione del Veneto all’Italia già ci fossero nei confronti dei Veneti discriminazioni e penalizzazioni inaccettabili.

Ferruccio Macola si chiede “se non convenga insorgere contro l’accentramento enormemente dannoso di tutto il noto sistema politico e amministrativo; accentramento maggiormente marcato colle leggi presentate dal Crispi, tutto di carattere e d’indole giacobina”; e più avanti sottolinea “la necessità di tutelare con una forte organizzazione politica gli interessi della nostra regione”.   E ancora, “D’altronde è ingiusto, che dopo tanti anni di Governo, con Gabinetti di tutti i colori, il Veneto, e con Veneto la Lombardia, abbiano pagato sempre di più, molto di più delle altre Provincie,usufruendo in proporzioni assai minori degli aiuti governativi.

Se potesse realizzarsi il sogno di Marco Minghetti e di Alberto Mario, il Veneto sarebbe la regione certamente risentirebbe maggiori vantaggi della sua autonomia. Il decentramento amministrativo, che tanto si invoca, e che dovrebbe essere uno dei punti cardinali del programma del nuovo partito, sarà il primo passo per conquistare alle regioni, l’autonomia amministrativa più confacente al lorosviluppo, ai loro bisogni, alle loro risorse economiche.

E’ enorme, che per qualunque piccola spesa, per qualunque pratica d’ordine secondarissimo, si deva ricorrere a Roma: dove per la quantità imponente di materia da sbrigare, tutti gli affari subiscono immensi ritardi; mentre la soluzione dipende tante volte da impiegati inferiori di grado alle stesse Autorità provinciali, costrette per legge a ricorrere al Governo centrale”. Illuminante poi una statistica che fotografa una realtà di stampo colonialista.

Così, un secolo fa Roma trattava il Veneto: “La popolazione in Italia dall’ultimo censimento è di 28.953.480 cittadini. Il Veneto ha una popolazione 2. 873.961. Potrebbesì dunque sperare che i Veneti occupassero 1/10 delle cariche dello Stato. Invece Ministri veneti nessuno; segretari generali nessun Veneto;

direttori generali nei vari Ministeri, e saranno oltre 40, nessuno;

ispettori generali nei diversi Ministeri, e saranno 60, uno o forse due;

generali d’armata, nessuno;

tenenti generali, nessuno;

generali ce n’era uno, ma l’hanno collocato nella riserva.

Non hanno voluto conservare neppur la semente.

Ammiragli nessuno, vice-ammiragli  nessuno. Ce n’erano due o tre, ma li hanno pensionati, perché impagliati rappresentino il vecchio S. Marco e la sua gloriosa Repubblica, che per tre volte portò la civiltà in Oriente;

Consiglieri di stato, e sono 24, nessuno;

Consiglieri della Corte dei Conti, e sono 12, nessuno;

prefetti su 69, due; intendenti di finanza, su 69, tre.

In tutto il personale dell’avvocatura generale:

avvocati compartimentali nessuno;

amministrazione generale del catasto che interessa tanto il Veneto perché il più iniquamente gravato, nessuno;

direttori compartimentali e vice-direttori del catasto, nessuno;

capi dell’Amministrazione militare, uno solo.

E … ne avrei da dirne per altre quattro pagine, giacchè lascio le Corti d’appello, i Tribunali, le Questure, i Carabinieri, i Direttori delle Poste, i mille ispettori che fanno nulla e che non danno di vantaggio all’Erario 15 giorni della loro paga annuale, gli ufficiali di porto, ecc. ecc.”

E a proposito del rapporto Nord-Sud:

“Ci basterà solamente ricordare, come, soltanto dopo vent’anni, si sia riusciti condurre in porto la famosa legge sulla perequazione fondiaria, poiché da vent’anni Veneto e Lombardia pagavano in proporzione quattro volte superiore aquella di certe regioni del mezzogiorno. Chi rimborserà a noi le centinaia di milioni sborsati in più allo Stato?” una domanda che continua ad essere di stringente attualità, nel nostro Veneto…

Correlati

2 COMMENTS

  1. Repubblica_delle_banane’s connection
    Possiamo affermare che l’ormai famosa repubblica_delle_banane sia nata per partenogenesi, come la dea greca Minerva?
    Penso proprio di no. Se fosse così, infatti, non saremmo qui a parlare dei rapporti tormentati che intercorrono tra il Veneto e lo stato italiota che da sempre ne occupa illegittimamente i territori.
    Purtroppo, invece, la realtà è ben diversa: La repubblica_delle_banane non è una divinità. Anzi, a voler essere più precisi, non è ad essa nemmeno lontanamente paragonabile. Ma soprattutto non è nata da un processo di riproduzione verginale: la partenogenesi, per l’appunto. Come ben sappiamo, infatti, essa è il frutto di quell’aborto politico-militare passato ai più sotto il nome di ‘guerra di liberazione dal fascismo’. Nulla di più. Come se da allora la storia si fosse bloccata in un fotogramma, ed il tempo avesse cessato di scorrere. Un freeze-frame del periodo più buio ed angosciante del secolo scorso, capace di rivelarsi nel tempo, quale risultato di un infelice incrocio tra l’asina resistenziale ed il peggior mulo trasformista.
    Chimerica assurdità politica d’Europa negli ultimi settant’anni, quindi? Non c’è dubbio in proposito!
    Tuttavia nel volerla paragonare ad un animale mitico escluderei l’ircocervo, definendola alla stregua del più modesto bardotto, con tutto il rispetto per il bardotto stesso. E quegli intellettuali che si sono rivolti al Parlamento in termini perentori contro la concessione di eventuali forme di autonomia al Veneto ne sono l’espressione più infelice, oltre che più becera. Del resto becera è anche certa prosopopea resistenziale che invece di prendere le distanze dai tanti crimini commessi dai buoni e bravi ‘liberatori’, preferisce da sempre barricarsi dietro al solito antifascismo strumentale ed ossessivo, spinto ben oltre i limiti della paranoia. Antifascismo da vulgata e quindi soverchiante rispetto all’essenziale, in quanto inclusivo per magia anche di ogni anelito di autonomismo locale.
    E’ vero, quella che i veneti portano avanti da 150 anni non è affatto una moda, ma una battaglia. Il problema riguarda semmai l’infinita frammentazione del fronte indipendentista, ma anche autonomista, secessionista, federalista a chi più ne ha più ne metta. E, onestamente, lascerei perdere le vie legali per annullare il famoso Referendum truffa. Quelli del 1866 sono infatti accadimenti troppo lontani nel tempo, così come lo sono il linguaggio e la sensibilità di allora, quasi agli antipodi rispetto alla realtà quotidiana. Sarebbe comunque solo una raffinata perdita di tempo.
    Preferendo in ogni caso il dubbio alla certezza e alla spiegazione assoluta del tutto, mi chiedo se a volte non sarebbe meglio seguire altre vie per la liberazione del Veneto. Vie in grado di influenzare direttamente lo svolgimento degli eventi e chi tali eventi vorrebbe statici ed immutabili, affondati nel solito pantano del solito regime corrotto istituzionalmente già dal midollo.

  2. Veneto libero il prima possibile.
    Ma un pò di mea culpa per l’unità sarebbe più nobile che non la storia dei plebisciti truffa.

    Il Veneto DANIELE MANIN:
    “Un’accusa più grave, quella di mutabilità , viene scagliata contro Daniele Manin.
    Si dice e si ripete : « Possibile che il valent’uomo abbandoni in tal modo la sua bandiera?
    II grido « Viva San Marco ! fu grido repubblicano. Non è egli un conntraddirsi il gridare oggi : Viva l’Italia sotto lo scettro di casa « Savoia? »
    No, io rispondo , Daniele Manin non si contraddice.
    Repubblicano nel profondo dell’anima , egli si mostra eroico immotando un’opinione caramente diletta sull’altare della patria.
    L’uomo’ egregio non s’è mutato : egli è sempre quel medesimo che poneva in cima de’ suoi pensieri e de’ suoi affetti, non la provincia ma la nazione, non la repubblica ma l’Italia. Gridando Viva San Marco! il sapiente ed animoso tribuno obbediva ad una politica necessità : senza quel grido patriottico, una rivoluzione in Venezia era impossibile.
    Chi dunque voleva la rivoluzione per costituire più tardi l’Italia, dovea necessariamente volere il mezzo atto a raggiungere questo scopo.
    Se non che, proclamando la repubblica veneta (che avea cessato di esistere in fatto, per la violenza straniera, ma non in diritto), il cittadino d’Italia dichiarava solennemente, che qualora l’interesse generale della Penisola esigesse modificazioni nella forma di governo , Venezia si assoggetterebbe al decreto sovrano della nazione.
    — Non vuoisi dimenticare, diceva egli, che noi siamo un membro delta gran famiglia italiana ; gridiamo con essa : Viva l’Italia I — E qui è da notare che il popolo veneziano, ai 22 di marzo, non potea conoscere nè il risultamento della rivoluzione lombarda , nè il proclama di Carlo Alberto, giunto a Venezia soltanto ai 27 dello stesso mese.
    Però, ai 22 di marzo non erano e non poteano essere in Venezia pretendenti o candidati al trono.
    L’idea di essere pronto a fare il sacrifizio delle proprie sirapatio per la forma repubblicana allo scopo della unificazione italica, Daniele Manin la accenna in parecchie congiunture; ma più
    chiaramente in una sua intima conversazione con un uomo di Stato inglese, molto autorevole, che ne rese conto nel periodico intitolato: North British Revie w, del febbraio 1855.
    La bandiera della rediviva repubblica fu sempre la tricolore , simbolo di nazionalità, non veneta, ma italica.
    Due monete furono, di que’ giorni, coniate in Venezia. Sull’ una tu leggi: Indipendenza ; sull’altra : Unione italiana.
    La notte dell’14 agosto, quando i commissari! sardi dovettero ritirarsi all’annunzio dell’armistizio Salasco, che avea prodotto una inevitabile irritazione nel popolo, Daniele Manin, coll’autorità della sua parola, ottenne che si gridasse : Vivano i Piemon-
    tesi nella Piazza dei Leoni, rimpetto alla loro caserma.”
    https://archive.org/stream/bub_gb_ZDRTpDLQwpkC#page/n153/search/provincia

    -“Cavour è una grande capacità, ed ha una fama europea. Sarebbe grave perdita non averlo alleato , sarebbe gravissimo pericolo averlo nemico. Credo bisogni spingerlo , e non rovesciarlo.
    Conviene lavorare incessantemente a formare l’opinione. Quando l’ opinione sarà formata ed imperiosa , sono persuaso che ne farà la norma della sua condotta.
    Evitiamo sopratutto qualunque atto che possa dare il menomo sospetto che si faccia una guerra di portafogli.
    Guai a noi se dessimo appiglio ad una simile accusa! La nostra influenza sarebbe perduta per sempre.
    Se in seguito la pubblica opinione domanderà imperiosamente l’impresa italiana, e Cavour vi si rifiuterà, allora vedremo. Ma io credo Cavour troppo intelligente e troppo ambizioso per rifiutarsi all’ impresa italiana quando la pubblica opinione la domandasse imperiosamente. Sono convinto che la sottoscrizione al proposto simbolo di fede politica non riuscirebbe , almeno per ora.
    Le ragioni di questa mia convinzione sono molte , e sarebbe lungo e faticoso esporle partitamente. Lo farò quando la mia testa sarà un po’ meno ammalata.
    Oggi mi limiterò a dirti che, a mio avviso, prima di occuparsi del novero dei neofiti , bisognerebbe continuare attivamente la predicazione [ a Torino , a favore dell’unità ndr ], e moltiplicare gli apostoli, e procurarsi pergami opportuni.
    Finora i soli apostoli eravamo noi due : se ne aggiunse un terzo eccellente , La Farina [siciliano]. Non basta: conviene trovarne altri. Pergami, non ne abbiamo.
    Nessun giornale italiano finora ci aperse incondizionatamente le sue colonne : io sono costretto servirmi della stampa inglese, tu dei fogli volanti.
    Quindi la nostra dottrina politica non è ancora con sufficiente larghezza esposta, svolta, discussa, diffusa. Quindi i neofiti non possono essere abbastanza numerosi , né sufficientemente istrutti nella fede che fossero disposti ad abbracciare.
    Un uomo che non posso nominare, ma che è in posizione d’ essere molto bene informato , mi disse alcuni giorni sono : « Vous ètes dans le vrai , mais je crains que vous ayez commencé trop tard : il faut beaucoup de temps pour que les idées neuves et hardies puissent ètre répandues et acceptées.»
    Spero che fra breve tornerai a Torino.
    Là potrai più agevolmente occuparti della predicazione [ a favore dell’unità ndr ], degli apostoli e dei pergami. E potrai pure con mezzi indiretti esplorare i progressi della nostra fede senza allarmare gli orgogli e le vanità de’ nostri uomini politici , che non vogliono riconoscere capi , né assoggettarsi a discipline, e senza esporsi a rifiuti poco onorevoli , e alla trista umiliazione di un fiasco” https://archive.org/stream/bub_gb_ZDRTpDLQwpkC#page/n81/mode/2up/search/apostoli

    ————————————————————

    – Il milanese Giorgio Pallavicino al veneto Daniele Manin:
    -“Noi abbiamo nel piemontesismo un nemico sommamente pericoloso, un nemico implacabile.
    I Piemontesi, tutti i Piemontesi dal conte Solaro della Margherita all’avvocato Angelo Brofferio , sono macchiati della stessa pece.
    All’Italia con una metropoli: Roma, essi preferiscono un’ Alta Italia con due capitali: Torino e Milano. Camillo Cavour è piemontesissimo ! …
    Allora solo noi potremo avere speranza d’incatenarlo al nostro carro, quando gli avremo posto il coltello alla gola.
    Ma tu mi dici che la nostra dottrina politica non è ancora con sufficiente larghezza esposta , svolta, discussa, diffusa;… che quindi i neofiti non possono essere abbastanza numerosi , nè sufficientemente istrutti nella fede che fossero disposti ad abbracciare. Ciò è possibile. Facciamo dunque di diffondere sempre più il nostro vangelo , continuando la predicazione, moltiplicando gli apostoli e procurandoci pergami opportuni.” https://archive.org/stream/danielemaninegi00pallgoog#page/n299

    -“Nell’ ultima mia lettera io ti dicea che tutti i Piemontesi sono municipali. Tu puoi obbiettarmi : « Se tutti i Piemontesi sono municipali, sarà egli possibile l’abbattere Camillo Cavour, il Piemontese per eccellenza , come tu dici?»
    Rispondo: Lo Stato subalpino, per buona sorte, non si compone soltanto di Piemontesi: si compone anche dell’elemento italico; perciocchè non sieno piemontesi, quantunque aggregati al Piemonte , i Liguri , i Sardi , gli abitanti di Novara, di Casale e d’Alessandria; non sono piemontesi i cinquantamila fuorusciti , operai , artisti , ingegneri , medici , giureconsulti , uomini letterati ed uomini militari che oggi hanno stanza in Piemonte.
    Ecco l’ elemento su cui può far disegno il « Partito Nazionale Italiano». Quanto ai Piemontesi puro sangue credo giusta la mia sentenza.
    Per averli con noi , dovremo trascinarli , non essendo sperabile ch’essi ci seguano volontariamente.” https://archive.org/stream/danielemaninegi00pallgoog#page/n301

    -“La Farina non mi ha consultato prima di metter fuori la sua idea d’annessione della Sicilia al Piemonte. Ma io non partecipo a’ tuoi timori su questo proposito. La Farina , emettendo questa idea , volle combattere nel tempo stesso il municipalismo siculo ed il murattismo napoletano.
    Questa idea suona in Napoli : « Se scegliete Murat , noi ci separiamo. » E suona in Palermo : « Se vi separate da Napoli, dovete unirvi al Piemonte. »
    La Farina, uomo di senno e uomo d’onore, è tutt’ altro che murattista; ma non mi stupirei che lo tosse **•; io ho di costui una tristissima opinione. https://archive.org/stream/danielemaninegi00pallgoog#page/n331

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Articoli recenti