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1880, dopo l’unità d’italia i veneti emigrano anche in slavonia

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di ETTORE BEGGIATO

Sarajevo, siamo a cena a metà strada  fra il ponte dove scoppiò la prima guerra mondiale e il mercato dove il “secolo breve” celebrò l’ultima follia europea; siamo in otto e stiamo  studiando il percorso del giorno dopo che ci porterà a Zagabria quando nella carta geografica lungo l’autostrada vedo scritto Kutina …”ma qua ghe xe i veneti” esclamai al che Dejan serbo-veneto che ci fece la guida per una settimana disse “si, par ti ghe xe veneti dapartuto…”. Mi sono attaccato  al telefono e con poche chiamate ho stabilito  il contatto giusto per il giorno dopo, l’appuntamento era proprio a Kutina nella sede dell’associazione.

Così siamo stati accolti dal “patriarca” della comunità Antun Di Gallo, che parla ancora un bellunese straordinario con le caratteristiche  interdentali, dalla figlia Marieta che ha raccolto il testimone e che non parla  il bellunese del padre ma  un perfetto italiano (molto meglio del mio, anche se non ci vuole molto…) e da un’altra giovane ragazza Mirela Bartoluci; la sede della comunità è spaziosa, luminosa, operativa, i contatti con il Veneto e in modo particolare con il Bellunese piuttosto frequenti, anche perché durante e alla fine della guerra nella ex Jugoslavia diverse famiglie sono rientrate nel Veneto e nel Friuli, ancora più frequenti sono i contatti con l’Istria.

Ero già stato in zona nel lontano 1993 come assessore regionale alla solidarietà internazionale e mi trovai in  una situazione drammatica: le nostre comunità della Slavonia erano proprio lungo il confine fra Croazia e Jugoslavia ed erano state particolarmente coinvolte, ci furono una ventina di morti fra la  “nostra” gente; per fortuna la guerra è solo un brutto ricordo e in tutta la zona lo sviluppo è stato quanto mai veloce e efficace.

Ma quando sono arrivati qui i Veneti e da dove provenivano? Il periodo è quello “classico” della grande emigrazione veneta, subito dopo l’annessione del Veneto all’Italia dopo il plebiscito-truffa del 1866. Il Regno d’Italia, infatti, dopo le ingenti spese militari sostenute per la III guerra d’indipendenza (con pessimi risultati, per la verità, visto le sconfitte di Custoza e di Lissa) si trovò sull’orlo della bancarotta; da qui la necessità di imporre una serie di tasse pesantissime, a partire da quella sul macinato (vera e propria tassa sulla fame) che portò in breve la nostra terra veneta a una situazione di fame, miseria e disperazione come mai nella nostra storia: alla nostra gente non restò che emigrare, la stragrande maggioranza verso il Brasile, altri verso destinazioni diverse.

Fu così che attorno al 1880 un gruppo di famiglie, una novantina, partì dalle zone più colpite dall’emigrazione, montane e pedemontane, del Veneto e del Friuli per andare a cercare fortuna nella Slavonia, terra ricca di boschi, scarsamente abitata che all’epoca faceva parte dell’impero austriaco.  Più della metà delle famiglie partirono dal Bellunese, in particolare dalla zona di Longarone, ma anche dalla provincia di Treviso (Conegliano e dintorni), dall’Altopiano dei Sette Comuni (Asiago e Camporovere), dalla provincia di Pordenone (Sacile, Erto).

Partirono a piedi, una lunga fila di carretti a due ruote, e arrivarono a destinazione dopo oltre un mese di marcia, assegnati a diversi paesi, Kutina, Plostine, Lipik, Pakrac e altri ancora. Storie comuni a tanti veneti, centinaia di migliaia, costretti a “catar fortuna” lontani dalla loro Terra; e anche qui come nel Brasile si vorrebbe tornare indietro, le promesse erano ben altre, ma non ci sono i soldi e forse neanche il morale… E così non resta che lavorare, lavorare e lavorare. Poi ci fu la prima guerra mondiale, la seconda, arrivò il comunismo e la sua cultura laica…i vecchi ricordano ancora quando nel 1946 le donne che avevano organizzato la processione del venerdì santo furono portate in prigione e la stessa cosa accadde due anni dopo, il 25 aprile per la processione di San Marco.

Dopo quasi due secoli i veneti della Slavonia continuano ad essere orgogliosi delle loro origini, mantenendo con associazioni, cori, gruppi sportivi un importante patrimonio di lingua, cultura, usi, tradizioni.

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