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Il caso apple e i tafazzi d’italia: si alzino le tasse dove sono basse

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appledi MATTEO CORSINI

“Sul caso-Apple e sulle sue implicazioni, in altre parole, la posta in gioco non è più la multa: sul piatto c’è la credibilità dell’Unione europea, colpevole di aver permesso non solo all’Irlanda, ma anche all’Olanda e al Lussemburgo, di diventare dei veri paradisi fiscali nel cuore dell’Eurozona, sottraendo spesso in modo opaco o anche illegale capitali, imprese e risorse a tutti quei Paesi (come l’Italia) che per fragilità di bilancio hanno tasse più alte della media”. Sono stati tanti, come era inevitabile, i commenti alla decisione della Commissione europea di multare per 13 miliardi la Apple in relazione alle imposte (non) pagate in Irlanda.

Alessandro Plateroti sul Sole 24Ore l’ha buttata sulla concorrenza fiscale sleale esercitata da alcuni Stati nei confronti di altri, tra cui, ovviamente, l’Italia. La quale avrebbe tasse più alte della media per via di “fragilità di bilancio”. Che il bilancio dell’Italia sia fragile è indubbio, e pare perfino eufemistica come affermazione, guardando i numeri. Tuttavia, la fragilità del bilancio si trascina da decenni anche per via della mancanza di volontà politica di porvi rimedio in modo strutturale.

Invece di ridimensionare la spesa in modo tale da non dover strozzare di tasse i cosiddetti contribuenti, lo sport preferito dai governi italiani (in modo abbastanza trasversale) è sempre stato quello di mantenere (nei periodi di vacche magre) o addirittura aumentare le voci di spesa, rincorrendo tali aumenti con incrementi di tassazione.

Lamentarsi che altri Paesi praticano una tassazione inferiore e, così facendo, attraggono investimenti dall’estero, è il modo migliore per perpetuare la cause della “fragilità”. Invece di tirare in ballo la credibilità dell’Unione europea (sono altri i motivi per farlo, semmai) e tacciare di opacità e illegalità gli Stati a minore tassazione, credo sarebbe meglio mettere in discussione la rapacità del fisco italiano. Invocare l’armonizzazione fiscale, che peraltro sarebbe inevitabilmente verso l’alto, suona abbastanza tafazziano: non sarebbe certo quella la via per favorire gli investimenti.

Semplicemente ci sarebbero minori investimenti altrove, non certo compensati da maggiori investimenti in Italia. O si pensa forse di invocare l’armonizzazione fiscale planetaria? E, anche in quel caso estremo, si ritiene davvero che gli investimenti siano indipendenti dal livello di tassazione?

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2 COMMENTS

  1. L’Irlanda sta campando alla grande sulle esigue tasse che riscuote dalle multinazionali, perlopiù americane, che ovviamente stabiliscono lì a sede legale perché pagano molto meno che altrove ma anche perché si tratta di un paese di lingua inglese. Peccato che nulla di tutto ciò sia merito del talento e dello spirito imprenditoriale irlandese o dell’eccellenza del suo sistema formativo. Sarà come per il petrolio per il Venezuela?

  2. Ben detto.
    Noto, peraltro, che l’epidemia di cretinismo informativo si sta oltre che diffondendo anche acutizzando.
    Sempre più acutissimi cretini.
    Non capire che la concorrenza, in ogni ambito, è utile ed in particolar modo permette di scegliere e risparmiare, non capirlo significa essere ottusi.
    Che significa , anche, cretini.

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