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Donald Trump, il clima e l’inesistente apocalisse ambientale

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di PIETRO AGRIESTI

Non sono un fan di Trump e non lo avrei votato in USA. Specialmente questa seconda volta, visto che nel frattempo la mia opinione su di lui è peggiorata. Ci sono varie politiche che ha promesso di attuare che spero non vedano mai la luce, ma credo – o mi illudo – che possa fare meglio dei Dem su alcuni temi.

Il cambiamento climatico è uno di questi. Nonostante la volontà di Trump di uscire dagli accordi di Parigi e il suo scetticismo rispetto alle politiche net-zero siano per molti uno scandalo e un motivo di disperazione per i risultati di queste elezioni, per me sono un fatto positivo. Provo a spiegare perché.

SI È DIFFUSA UNA PERCEZIONE ERRATA DEL FENOMENO

In questi anni è diventata sempre più diffusa l’eco-ansia, la paura del cambiamento climatico e delle sue conseguenze, portata a un livello tale da spingere le persone a non voler fare più figli, a passare a forme di lotta politica sempre più aggressive, ad avere incubi, a percepire l’umanità sull’orlo dell’apocalisse e dell’estinzione. In verità esiste una percezione errata del pubblico su molti fenomeni, grazie ad un sistema mediatico e politico che quando prende di petto una questione in genere produce più disinformazione che informazione, ed è questo certamente il caso dei pericoli del cambiamento climatico.

Spesso ad esempio quando i crimini violenti sono in calo da anni in tutte le statistiche, il pubblico percepisce una emergenza. O per esempio, quando dopo l’episodio di Floyd si è tanto discusso dei neri uccisi dalla polizia in USA tutte le ricerche hanno indicato che la percezione del problema che si è diffusa è di un numero di morti di due o tre ordini di grandezza superiore a quello reale. Allo stesso modo, parte del pubblico ha una percezione apocalittica del tutto fuori scala del cambiamento climatico e delle sue conseguenze, grazie ai media e ai politici che giocano sulla paura e sul sensazionalismo. Ma per fortuna la realtà è molto meno terribile. Se non che sull’onda della paura e dell’isteria di massa diffuse da media e politica vengono sostenute politiche contro il cambiamento climatico che hanno aspetti enormemente negativi e pericolosi.

Le persone si comportano secondo le loro percezioni apocalittiche, e appoggiano politiche che – forse – avrebbero senso se quelle percezioni fossero corrette anziché profondamente distorte. Vale per l’appoggio a politiche eccessivamente repressive e securitarie quando vi è una esagerata percezione sul crimine, vale per politiche eccessivamente drastiche e non adeguatamente comprese sui combustibili fossili promosse contro il cambiamento climatico.

LE COSE SONO DECISAMENTE MEGLIO DI COME MOLTI CREDONO

Le morti dovute a disastri climatici nell’ultimo secolo sono calate del 98%. Per ogni milione di persone sulla terra, i decessi annuali per cause legate al clima (temperature estreme, siccità, inondazioni, tempeste, incendi selvaggi) sono diminuiti del 98%, passando da una media di 247 all’anno negli anni Venti a 2,5 all’anno nel 2010. Il più apocalittico – e meno probabile – degli scenari ipotizzati dall’IPCC (8.5) è ancora uno scenario di crescita economica, sviluppo e aumento del benessere dell’umanità. Non di estinzione. Non di devastazione. Ma di un aumento più ridotto e incerto del benessere. Uno scenario comunque grave, perché prevede il peggioramento delle condizioni di vita di molte persone, accanto al continuo miglioramento di quelle di tante altre, uno scenario con aspetti catastrofici per alcuni luoghi e per chi ci vive, ma nulla che somigli alle fantasie di distruzione che ha in testa parte del pubblico.

Le stime sull’impatto del cambiamento climatico sul PIL variano, ma un esempio comune in base agli scenari del IPCC è:

  • -Senza cambiamento climatico: se il mondo seguisse il percorso di crescita previsto senza cambiamenti climatici, la crescita globale del PIL potrebbe arrivare a circa +200-300% entro la fine del secolo (cioè un aumento del PIL globale di due o tre volte rispetto a oggi).
  • Con cambiamento climatico (RCP8.5): se l’impatto del cambiamento climatico fosse così grave come nello scenario RCP8.5, alcune stime suggeriscono che il PIL globale potrebbe crescere solo di +180-250%, con una riduzione rispetto alle previsioni senza cambiamenti climatici di circa il 10-20% entro il 2100.

Questa è, se tutto dovesse andare male, nel più sfigato ed improbabile degli scenari, “l’apocalisse” che ci aspetta. Persino in questo caso apocalittico avremmo una crescita incredibile del benessere umano.

UN RACCONTO MEDIATICO IRREALE

È oggettivo affermare che tutto questo non viene trasmesso al pubblico da media e politica, che invece pompano paura, isteria e millenarismo nelle vene della società a più non posso, creando così una domanda e sostegno per politiche antidemocratiche e illiberali, che vanno dall’istituzione del reato d’opinione di negazionismo climatico, alla censura di massa della discussione pubblica attraverso provvedimenti che obbligano i social e i motori di ricerca a togliere visibilità a chi esprime un punto di vista critico, a drastici provvedimenti di pianificazione economica e ingegneria sociale dal sapore sovietico.

Siamo ormai abituati ad esempio a vedere i media attribuire al cambiamento climatico di origine antropica qualsiasi evento climatico negativo, un minuto dopo che sia successo senza nessuno studio di attribuzione necessario. Perché indagare su come si sono svolti i fatti quando si può inventarseli? Basta che si innestino con efficacia sulla narrativa diffusa risultando coerenti con essa e quindi plausibili, poi che siano veri chissenefrega.

Da una percezione fondamentalmente alterata dei rischi del cambiamento climatico deriva logicamente una distorsione del consenso verso molte delle politiche proposte e implementate per fronteggiarlo. Appurato che la discussione è distorta da una percezione apocalittica fuori scala, lo è anche da una percezione troppo poco apocalittica delle possibili conseguenze delle politiche proposte contro il cambiamento climatico.

Le politiche anti combustibili fossili, le cosiddette net-zero, con cui si vorrebbe raggiungere un pareggio tra quantità di gas serra prodotti e rimossi dall’atmosfera entro il 2050, anche se non viene adeguatamente raccontato dai media, hanno degli aspetti negativi e dei rischi davvero importanti. Le persone che mettono in guardia da questi rischi sono spesso dipinte come negazioniste, con una reductio ad hitlerum, ma non c’è alcun bisogno di negare alcunché per riconoscere quanto segue.

JUST STOP OIL?

Spegnere i combustibili fossili vorrebbe dire spegnere la nostra principale fonte di energia. I combustibili fossili sono la fonte di gran parte della nostra energia. Ad oggi, nei paesi occidentali sviluppati, rappresentano ancora circa il 70-80% dell’energia totale consumata. Questo include tutta l’energia utilizzata in ogni ambito: dall’industria ai trasporti, dal riscaldamento domestico alla produzione di elettricità.

Spegnerli vorrebbe dire mettere in crisi la produzione di tutti i beni e i servizi e ridurre persino la nostra capacità di fronteggiare gli eventi naturali avversi. Poiché i combustibili fossili costituiscono la stragrande maggioranza dell’energia totale consumata, attualmente quasi tutti i settori e servizi delle nostre società dipendono fortemente da essi. Questo include non solo le attività quotidiane come i trasporti, la produzione industriale e l’energia domestica, ma anche infrastrutture e servizi essenziali come scuole, ospedali, reti di trasporto, difesa, media, internet, gdo e supermercati.

Inoltre, anche la nostra capacità di affrontare condizioni ambientali difficili e di garantire la sicurezza climatica si basa ancora su tecnologie e infrastrutture alimentate da combustibili fossili. Questo include sistemi per il riscaldamento e il raffreddamento, la costruzione di infrastrutture come dighe e edifici antisismici, la capacità di rendere coltivabili aree che naturalmente non lo sono e le risorse necessarie per affrontare emergenze come terremoti, incendi, alluvioni e uragani.

In pratica per molti versi i combustibili fossili ci rendono molto più sicuri dal punto di vista climatico.

Nella discussione pubblica a cui siamo abituati raramente vengono messi in luce i lati positivi dei combustibili fossili: sono letteralmente fra le basi del nostro benessere sotto ogni aspetto, danno persino un contributo fondamentale a fronteggiare eventi naturali e climatico avversi, è in gran parte merito loro quella riduzione del 98% delle morti per disastri climatici, ma vengono spesso dipinti in modo unicamente negativo.

Secondo molti pare che ci dovremmo precipitare a spegnerli, e che a trattenerci siano solo la malvagia sete di guadagno delle industrie del settore e la corruzione della politica, ma farlo sarebbe un evento catastrofico di proporzioni immani.

INQUINAMENTO E POVERTÀ ENERGETICA

Se per noi sarebbe un disastro, per le nazioni povere sarebbe ancora peggio. Ad esempio sul piano dell’inquinamento e delle sue conseguenze sulla salute: gran parte del mondo usa energie ancora più sporche, rispetto a cui un passaggio ai combustibili fossili sarebbe già un miglioramento.

Un terzo del mondo, utilizza legna e sterco animale per riscaldarsi e cucinare. Per esempio, passare dal carbone al gas naturale riduce le emissioni di CO₂ di circa il 50% e diminuisce sensibilmente anche inquinanti come il particolato e il mercurio. O ancora, sostituire la biomassa non trattata con combustibili fossili più puliti potrebbe ridurre drasticamente l’inquinamento dell’aria interna nelle abitazioni, che è una delle principali cause di malattie respiratorie nei paesi in via di sviluppo.

Quindi, per alcune regioni che dipendono da fonti estremamente inquinanti, l’adozione dei combustibili fossili sarebbe un passo avanti per la salute pubblica e per l’impatto ambientale. Ostacolare questo passaggio comunque positivo, con la pretesa di saltare direttamente a fonti di energia rinnovabili, che già sono difficilmente sostenibili per noi, può voler dire di fatto impedire a questi paesi di migliorare le proprie condizioni di salute e i propri livelli di inquinamento, lasciando morire molte persone.

Una realtà, questa, totalmente assente dal racconto mediatico corrente. E come si sa lontano dagli occhi lontano dal cuore: nella discussione pubblica sul cambiamento climatico pare che queste persone non valgano nulla.

Lo stesso vale sul piano della povertà energetica e della povertà in generale. Tre miliardi di persone utilizzano meno elettricità di un tipico frigorifero americano. Hanno bisogno, per svilupparsi, uscire dalla povertà e raggiungere quelle condizioni di benessere che – per noi – oggi sono normali, di energia affidabile, economica, sostenibile, trasportabile, staccabile. Garantire loro l’accesso a sufficiente energia di qualità e poco costosa migliorerebbe enormemente le condizioni di vita di – letteralmente – miliardi di persone.

Ma ad oggi, questo è un obiettivo impossibile senza combustibili fossili. Privarsi della principale fonte di energia, che corrisponde al 70-80% del totale, e contemporaneamente abbattere la povertà energetica e fornire ai paesi poveri l’energia di cui hanno bisogno, sono due obiettivi in contrasto.

Tutti i paesi prosperi si sono sviluppati utilizzando i combustibili fossili. Nessun paese è stato in grado di passare dalla povertà alla prosperità senza un loro massiccio uso. Lo sviluppo richiede energia e i combustibili fossili sono una fonte di energia unicamente scalabile ed efficace dal punto di vista dei costi. Sono così straordinari nel fornire energia affidabile e a basso costo alle nazioni in via di sviluppo che anche le nazioni con poca o nulla disponibilità li hanno comunque utilizzati e li usano per svilupparsi e prosperare acquistandoli dall’estero. Ad esempio, la Corea del Sud (83% di combustibili fossili), il Giappone (85% di combustibili fossili), Singapore (99% di combustibili fossili).

UNA PROSPETTIVA INCENTRATA SUL BENESSERE UMANO.. O NO?

Nel notare che tutto questo è praticamente assente, neanche in discussione, sul cambiamento climatico, viene da chiedersi come si stia ragionando? Da che prospettiva si stiano guardando le cose? La prospettiva è quella che pone al centro il benessere umano.. o no?

Se esistono le conseguenze negative del cambiamento climatico, esistono anche enormi conseguenze negative nell’ostacolare lo sviluppo di questi paesi. Una volta la priorità era la lotta alla povertà, oggi questa priorità sembra essere passata in secondo piano. Questa è una delle grandi preoccupazioni espresse dai cosiddetti negazionisti climatici, e non si capisce perché meriterebbe una reductio ad hitlerum.

Se si vuole ragionare con una prospettiva incentrata sul benessere umano, bisogna considerare come i combustibili fossili lo impattano negativamente e positivamente. E quello che conta è l’impatto finale complessivo.

Altrimenti quale altra prospettiva si vuole adottare? A volte si ha l’impressione che attivisti, ideologi, politici e media adottino una prospettiva centrata sulla diminuzione dell’impatto dell’umanità sul pianeta. Una cosa che potrebbe apparire attraente ed etica, solo a chi è particolarmente naive o profondamente fuori di testa. Si tratta di una prospettiva totalmente incompatibile col benessere dell’umanità: il minor impatto possibile dell’umanità coincide con il suo minor benessere possibile.

Impatto zero = umanità zero. Il cammino della civiltà e della scienza è un cammino di allontanamento dallo stato brado e di intervento crescente sul pianeta e sulla natura. Dovremmo esserne orgogliosi. E sebbene possano esserci stati degli eccessi, e il progresso tecnico scientifico e la crescita economica possano non essere tutto quello che conta per il benessere, la prospettiva opposta è oscurantista e anti umana.

La maggior parte delle persone è spaventata dal cambiamento climatico per le conseguenze che potrebbe avere sugli esseri umani e non è favorevole allo sterminio dell’umanità per “salvare” il pianeta, che tra l’altro non è che senza di noi continuerebbe placidamente una esistenza tranquilla, pacifica e serena, visto che già di per sé è sconquassato da glaciazioni, meteoriti, inversioni dei poli magnetici, esplosioni vulcaniche, glaciazioni e quanto altro, e ammette l’estinzione naturale di una infinità di specie animali e vegetali.

SE VOGLIAMO LA PROSPERITÀ CI SERVE LA LIBERTÀ

Se l’obiettivo è il benessere e la prosperità per gli umani, questo comprende tutto, il cambiamento climatico come tutto il resto, nella misura e nei modi in cui ogni cosa impatta positivamente o negativamente su di noi. Quello che conta è il risultato complessivo.

E allora la strada più più ovvia è quella di utilizzare i combustibili fossili ogni volta che sono l’opzione più efficace dal punto di vista dei costi, cioè la maggior parte delle volte, e certamente di sfruttare, in modo responsabile, le significative risorse che esistono in Africa. Invece la COP, che è la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la cui ventinovesima edizione si è tenuta da poco, invita l’Africa a rinunciare ai combustibili fossili.

L’obiettivo che questa gente propone, “net-zero entro il 2050”, priverebbe miliardi di persone dell’energia di cui hanno bisogno per prosperare. Se mettiamo insieme tutti i consigli che le istituzioni internazionali guidate dall’Occidente danno ai paesi poveri appare quello che può sembrare un programma genocida: no ai combustibili fossili, no alla chimica in agricoltura, no agli OGM.. nell’insieme sembra che gli consigliamo sostanzialmente di restare poveri e continuare a crepare.

Al posto delle politiche net-zero, dovremmo sostenere la libertà energetica e liberalizzare il settore dell’energia. In un contesto di libertà si tenderà a scegliere le energie che nelle varie situazioni offrono il miglior rapporto costi benefici e meglio supportano lo sviluppo economico: siano di volta in volta i combustibili fossili, le rinnovabili, il nucleare o qualsiasi altra cosa.

Invece esattamente al contrario stiamo adottando norme che hanno il sapore del corporativismo fascista o della pianificazione economica sovietica.

TRUMP POTREBBE FARE LA DIFFERENZA IN POSITIVO

L’Occidente si sta trasformando in un sistema corporativo, statalista e dirigista, con venature autoritarie, ricalcando il modello cinese più della Cina stessa per certi versi. E uno dei motivi addotti per questa trasformazione è la necessità di combattere il cambiamento climatico.

La politica della paura e il sensazionalismo mediatico servono, ogni singola volta, a prescindere dai problemi che possono realmente sussistere, a sostenere la necessità di una involuzione di questo tipo. Quella del Gosplan europeo che prevede il divieto di produrre motori a combustione interna entro il 2035. Quella che sta facendo lievitare i prezzi dell’energia, mettendo in crisi l’industria dell’automobile e rendendo sempre più costoso possederne e usarne una. Quella del DSA, che stabilisce un controllo politico arbitrario della discussione pubblica online attraverso una serie di misure dirigiste. Quella invocata a gran voce per il futuro, dagli attivisti, dagli intellettuali e da tante forze politiche, sempre e comunque a favore di più Stato, più ingegneria sociale e meno libertà.

In questo schema, quale che sia la sua motivazione, se Trump decide di andare in direzione ostinata e contraria, fa un favore al mondo, mettendosi di traverso alla politica della paura, alla disinformazione apocalittica, ai sostenitori di una prospettiva anti umana, a chi ha deciso che i paesi poveri devono restare tali, che i paesi ricchi devono impoverirsi, che il cambiamento climatico è una buona occasione per proporre una trasformazione in senso illiberale, anticapitalista e fascistoide delle nostre società.

Tutte le forze che per diversi motivi aspirano a questo, per ragioni economiche, politiche, ideali o di altro genere, e che sono unite nel sostenere un racconto del cambiamento climatico, delle sue conseguenze negative e delle soluzioni necessarie, funzionale a questa trasformazione politica, potrebbero trovare in Trump un ostacolo.

Se una conseguenza di queste elezioni e di un’amministrazione Trump fosse introdurre nella discussione pubblica sul cambiamento climatico e i combustibili fossili delle posizioni più eterodosse, portandoci verso un modo di ragionare su questo tema più equilibrato, sarebbe incredibilmente positivo. Lascia ben sperare in questo senso la nomina di Chris Wright a Segretario per l’energia: Wright è una sorta di realista climatico che ha ben presenti i punti che ho citato sull’importanza dei combustibili fossili e le percezioni distorte diffuse in materia di cambiamento climatico.

Da libertario ci tengo a non passare per trumpiano, quanto ci tengo a non passare per Dem, liberal o progressista, ma onestamente almeno su questo aspetto, in controtendenza a mezzo mondo, nutro delle speranze.

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