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Ecco il 30° segnale della ripresa: l’italia è l’inferno fiscale d’europa

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libertà-fiscaledi LUIGI CORTINOVIS

A noi del MiglioVerde non stupisce più di tanto, visto che non abbiamo mai creduto alle frottole sulla riduzione della pressione fiscale italiana, come abbiamo spesso scritto, rilanciando dati, prove, fatti e buste paga.

Oggi, però ecco la conferma anche del centro studi di Impresa Lavoro, che certifica che l’Italia non è uno dei tanti inferni fiscali in Europa, ma è l’inferno fiscale d’Europa (clicca e ingrandisci immagine a lato) per antonomasia. I parassiti sono famelici e non smettono di riprodursi.

Dunque, «ImpresaLavoro, avvalendosi della collaborazione di ricercatori e studiosi di dieci diversi Paesi europei, ha elaborato il primo Indice della Libertà Fiscale. Un lavoro, questo, che si proponeva di monitorare la “questione fiscale” in Europa muovendo dall’assunto che la crisi che sta conoscendo il Vecchio Continente è difficilmente comprensibile senza una riflessione seria sul peso che lo Stato ha assunto nella vita dei cittadini e su quanto il prelievo pubblico sulla ricchezza prodotta rischi di essere il vero tratto che distingue la Vecchia Europa da blocchi di paesi decisamente più dinamici e competitivi del nostro».

Nella versione 2016 dell’Indice della Libertà Fiscale, si è scelto di allargare il numero dei paesi esaminati, passando dai dieci ritenuti rappresentativi del 2015 ai 29 di quest’anno. L’analisi di un numero così ampio di economie permette, rispetto a quanto fatto nel 2015, di allargare lo sguardo e di monitorare efficacemente la questione fiscale in pressoché tutti i paesi che compongono il continente geografico europeo. Non solo: emergono in questo modo anche le differenze tra chi sta dentro il sistema dell’Unione Europea e chi sta fuori, tra i paesi che hanno adottato l’Euro e quelli che, invece, hanno scelto di mantenere la propria autonomia monetaria.

Nello studio di Impresa Lavoro, ci sono molti dati interessanti, che vi consigliamo di leggere. Per realizzare l’indice sono stati utilizzati i database Eurostat e Doing Business (Banca Mondiale).

TUTTO LO STUDIO, LO POTETE VEDERE QUI

 

 

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