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Inflazione in crescita e le solite baggianate sindacali

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di MATTEO CORSINI

In tempi in cui l’inflazione dei prezzi al consumo ha raggiunto livelli che non si vedevano da decenni, i percettori di redditi fissi non possono che subire una dolorosa perdita di potere d’acquisto. Ecco quindi invocare, da parte dei sindacati, una nuova politica dei redditi. Secondo Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl, serve “una nuova politica dei redditi suggellata da un accordo trilaterale tra Governo, sindacato e imprese.” Che fare?

  • “La responsabilità comune deve esprimersi nel rinnovo dei contratti nazionali e trovando soluzioni più eque per il riallineamento dei salari all’inflazione reale. Non servono automatismi antistorici che innescherebbero una pericolosa spirale, né “salari minimi di Stato” che farebbero uscire milioni di persone dalle buone tutele dei contratti. Va trovato un nuovo equilibrio all’interno delle relazioni sociali, superando i limiti del calcolo attuale dell’Ipca, depurato dai costi degli energetici importati, che rischia di scaricare sui lavoratori gli effetti di una speculazione che poco ha a che vedere con l’aumento dei costi di importazione delle materie prime.”

Il Governo, però, non deve fare “entrate a gamba tesa dannose nell’autonomia delle relazioni industriali”. Quindi eviti interventi legislativi su orari, smart working contratti, rappresentanza o salario minimo.

Come si vede, c’è un po’ di tutto, e anche il suo contrario. Per esempio sull’adeguamento dei salari all’inflazione reale, ma non mediante automatismi. Il che significa che sarà compito di un accordo tra sindacati e imprese definire cosa sia “reale” e cosa no. Ovviamente un accordo raggiunto a notte fonda, per dare agi iscritti la sensazione del duro lavoro fatto a loro beneficio.

L’importante è che il Governo faccia solo il notaio e rispetti l’autonomia contrattuale. Quella stessa autonomia che i sindacati vedono come fumo negli occhi quando riguarda gli individui. Ovviamente non può mancare un capitolo dedicato alle pensioni, dato che i pensionati sono ormai preponderanti tra gli iscritti.

Serve una nuova riforma, “che dia alle pensioni maggiore consistenza, sostenibilità sociale e inclusività, soprattutto per giovani e donne, sbloccando l’adeguamento delle pensioni in essere ed estendendo la platea delle quattordicesime.” Mi sembra appena il caso di ricordare che, già oggi, l’Italia spende il 16% del Pil in pensioni e la cifra è destinata a salire fino a un picco (che potrebbe non essere tale) del 18% in futuro.

Quanto alle fonti di finanziamento, la ricetta è quella classica: “condurre una lotta senza quartiere all’evasione e all’elusione”. Peccato che, qualunque cosa si pensi del fisco, se il maggior gettito finanzia nuova spesa pubblica, il “pagare tutti, pagare meno” non può che perdere la seconda componente.  Nulla di nuovo, in fin dei conti.

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