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Inflazione: parlano solo degli effetti, ma non discutono mai la causa

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di MATTEO CORSINI

Come è noto, a definire inflazione l’aumento dell’offerta di moneta è rimasta una parte molto minoritaria di coloro che si occupano di questioni economiche, ancorché questa fosse il significato comune del termine fino a circa un secolo fa. Il mainstream da diversi decenni identifica con il termine inflazione la crescita di indici dei prezzi al consumo, quindi una delle conseguenze dell’inflazione come definita in precedenza.

Per anni, nonostante la politica monetaria espansiva delle banche centrali stesse producendo inflazione, l’andamento dei prezzi al consumo restava al di sotto del target del 2% annuo identificato dalle stesse banche centrali come “stabilità dei prezzi” (con più o meno saccenti spiegazioni fornite a coloro che obiettavano che quella sarebbe al più una stabilità della crescita dei prezzi e non una stabilità dei prezzi), inducendo molti a invocare dosi ancora maggiori di stimoli monetari per scongiurare lo “spettro” della deflazione.

Nel frattempo si gonfiavano bolle sui prezzi delle attività finanziarie, dei beni immobili o delle materie prime, ma tutto questo non era considerato, se non in parte, un effetto delle politiche monetarie espansive.

Ebbene, da mesi i prezzi al consumo hanno subito aumenti che non si vedevano da tre o quattro decenni e, guarda caso, anche in questo frangente le spiegazioni coinvolgono solo marginalmente la politica monetaria. Per esempio Riccardo Sorrentino, che sul Sole 24 Ore si occupa anche di scrivere articoli sulle quesitoni monetarie, sostiene che quello che il rialzo cospicuo dei prezzi al consumo, accade “non per colpa delle banche centrali: è un’inflazione da costi, la forma più insidiosa perché rende ancora più difficili le cure. Se i tassi dovessero aumentare, frenerebbero un’economia già in difficoltà (e non ingannino i ritmi apparentemente elevati di crescita: un anno fa c’era ancora il lockdown in molte economie). In Eurolandia i prezzi salgono a un ritmo del 7% annuo e la Banca centrale europea sta cercando di capire fino a che punto lavoratori, risparmiatori, creditori si stanno “abituando” all’inflazione, considerandola un elemento non più transitorio del paesaggio economico: diventerebbe una classica profezia che si autoavvera. Non è ancora così, ma se la Bce dovesse capire che gli effetti di secondo impatto sono in arrivo non potrebbe che “stringere” la politica monetaria, il cui orientamento attuale è stato adottato quando l’inflazione era molto bassa.”

Il problema di queste spiegazioni è che si concentrano tutte sugli effetti. Quindi i prezzi al consumo aumentano perché sono aumentati i prezzi delle materie prime.

Occorre allora chiedersi perché sono aumentati i prezzi delle materie prime. E qui ci viene spiegato che è colpa del malfunzionamento delle catene di fornitura dovuto alle restrizioni al commercio internazionale imposte dai governi per contrastare la pandemia prima, e dalla guerra in Ucraina e relative sanzioni alla Russia ora.

Ma anche questi sono effetti, che peraltro non dovrebbero essere permanenti. Per di più, un aumento di questi prezzi deve comunque essere alimentato da un eccesso di domanda sull’offerta. E come è possibile che ciò si sia verificato?

Qui ci viene spiegato che le politiche fiscali sono state particolarmente espansive, sempre per sostenere la domanda nel biennio pandemico. Ma la politica fiscale espansiva comporta un aumento del deficit pubblico, che deve essere finanziato emettendo titoli di Stato. Ciò dovrebbe assorbire risorse altrimenti destinate ad altro e produrre una spinta al rialzo ai tassi di interesse, che però non c’è stato. E il rialzo dei tassi di interesse non c’è stato perché, nel frattempo, le banche centrali hanno acquistato molto più dell’offerta netta di tali titoli, a fronte di emissione di base monetaria (creata dal nulla).

In definitiva, se si percorre a ritroso tutta la catena degli effetti, dovrebbe esser eevidente che, senza un incremento della base monetaria, non può esservi l’utilizzo della stessa da parte delle banche per comprare asset finanziari, reali o per aumentare l’offerta di moneta sotto forma di credito, a sua volta utilizzato per comprare beni o servizi.

Ne consegue che tutti gli aumenti generalizzati dei prezzi di determinati beni, fino a quelli di consumo, non sarebbero stati possibili senza una politica monetaria espansiva.

Se si fosse continuato a utilizzare la definizione di inflazione che ancora oggi usano gli economisti della scuola Austriaca, sarebbe tutto molto più chiaro. Proprio per questo si preferisce spostare l’attenzione dalla causa agli effetti.

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