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La lega al sud: salvini rischia di cadere nel paludone pelasgico

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di GILBERTO ONETO

noi sudLa recente apertura a mezzogiorno della Lega viene descritta  come una grande novità politica, come il nuovo corso del leghismo in grado di produrre una svolta nella politica italiana. Prima di entrare nel merito della vicenda, serve ricordare che non si tratta di una invenzione senza precedenti: solo chi ha la memoria corta o è in mala fede può davvero pensarlo.

Le incursioni leghiste sotto la Linea Gotica sono infatti numerose e reiterate. Pur tralasciando Toscana, Marche e Umbria – che per molti indipendentisti sono già un eccesso di generosità identitaria e  geografica  e che la dirigenza leghista ha ormai accettato come una estensione della Padania, una sorta di “Padania ariosa”  – occorre ricordare  le spedizioni elettorali del Carroccio anche al di à del Fosso de Chiarone: l’antico confine fra il Granducato e lo Stato della Chiesa, sorta di limes meridionale dell’Europa civile.

Alle Regionali del 1990 erano stati inventati due simboli clonati dall’Albertino: quelli della Lega Centro e della Lega Sud, presentati in 5 regioni centrali (con l’esclusione della Toscana dove si spingeva la Lega Lombarda: 20.657 voti)  prendendo 11.647 voti, e nelle regioni meridionali (17.132 voti): in tutto 28.779 consensi sotto il Fosso del Chiarone.

Alle politiche del 1992 ha fatto il botto presentandosi ovunque come Lega Lombarda-Lega Nord, prendendo a sud ben 52.129 voti, più i 101.652  di Toscana, Umbria e Marche.

Alle comunali di Roma del 1993, dopo aver tentato le candidature di Giulio Savelli e Gianfranco Funari, aveva presentato Maria Ida Germontani  come Lega Italia Federale prendendo 13.726 voti.

Alle politiche del 1994 (le prime con Berlusconi) era presente solo in Toscana: 56.482 voti.

Alle regionali del 1995 (ha, nel frattempo, rotto con la destra) ha un comportamento variegato: in Toscana si presenta come Lega Nord alleata alla sinistra (15.049 voti), nella Marche da sola (4.252 voti), in alcune regioni meridionali si presenta come Lega Italia Federale: da sola in Campania (8.849 voti) e con la sinistra in Lazio, Puglia e Calabria (24.530 voti).

Alle politiche del 1996 la Lega Nord è  in gloriosa solitudine solo nella Padania ariosa (Toscana, Marche e Umbria): 66.794 voti.

Alla Camera nel 2001,  come Lega Nord Padania prende 14.232 voti in Toscana e 3.007 a Roma.

Alle politiche del 2006 è alleata con il Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo e prende 42.092 sopra il Fosso del Chiarone, 53.678 in Italia, e 128.133 voti in Sicilia.

Nel 2008, come Lega Nord Bossi prende 79.257 voti in Toscana, Umbria e Marche. Altrove si presenta il Movimento per l’autonomia-Alleanza per il Sud di Lombardo.

Alle politiche del 2013 cambia ancora nome (Lega Nord Maroni, alleata a Tremonti):  prende 26.299 voti nella Padania ariosa e 26.826 voti in 9 regioni meridionali.

Insomma il massimo dei consensi fuori Padania l’ha raggiunto nel 1992 (101.652 di Toscana, Umbria e Marche, e 52.129 nell’Italia propriamente detta: totale: 153.781 voti) andando da sola; nel 2001 arriva in tutto a 223.903 voti, due terzi dei quali però di Lombardo, che è il solo a trarre concreti vantaggi dall’alleanza.

Ora nasce l’inedita lista Noi con Salvini (nona sigla), cui i sondaggi di regime attribuiscono grandi consensi e a cui il Segretario leghista affida grandi progetti.

Si presentano tre scenari possibili: l’iniziativa va benissimo, va così-così o va male.

Nel primo caso Salvini (lui, non la Lega) raggiunge le percentuali che i sondaggisti generosamente gli attribuiscono: conserva i voti a Nord, cui aggiunge quelli del Sud. Diventa socio di riferimento (forse anche di maggioranza relativa) di una coalizione che difficilmente può vincere o che  – se lo facesse – si ritroverebbe gli stessi problemi di coesione che ha sempre avuto Berlusconi, con l’aggravante di un congruo numero di eletti al Sud che perseguirebbero i soliti obiettivi meridionalisti. Vittoria di Pirro.

Nel secondo caso, a un moderato successo a Sud si affianca una contrazione di voti a Nord (gli indipendentisti, che non gradiscono la novità, saltano un turno). Il risultato è una associazione politica (Lega Nord più Noi con Salvini) tenuta assieme dalla persona del Segretario che perderebbe la preponderanza settentrionale e che sarebbe condizionata da un bel numero di eletti meridionali sgomitanti, che si muovono con maggiore agilità nella palude della politica dei loro omologhi polentoni. I segnali ci sono tutti: le foto dei partecipanti alla presentazione romana della nuova lista avrebbero fatto felice Lombroso; i rumors che si sentono sulle adesioni sono anche peggio. C’è anche il significativo precedente della “legione italiana” che nella Lega ha avuto spazio nel passato: i vari Belsito, Brigandì, Cota, Mauro, il Trota eccetera non hanno dato grande propulsione alle istanze padaniste.

L’ultimo sciagurato caso sarebbe rappresentato da uno scarso risultato elettorale a Sud (dove la destra patriottica avrebbe tutto lo spazio e le occasioni per organizzarsi e rappresentare meglio gli afflati e le vocazioni locali) associato a una frana di consensi indipendentisti a Nord, causata proprio dal nuovo corso e dal puzzo di tradimento che molti padanisti duri e puri dicono di sentire. Sarebbe la fine della Lega, che difficilmente avrebbe l’energia di inventarsi un ulteriore ribaltone: dovrebbe chiedere scusa ai padani per avere chiesto scusa ai meridionali. Davvero troppo, anche per lo stomaco robusto di tanti leghisti.

Insomma, gli scenari che si prospettano non sono entusiasmanti per l’indipendentismo padano.

Salvini si è fino a qui mosso con astuzia e abilità,  aveva azzeccato gran parte delle mosse prima di cascare  nel paludone pelasgico. Può ancora venirne fuori, ma si deve inventare dei numeri davvero acrobatici.

 

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