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La resistenza indipendentista allo stato italiano ai tempi del virus

Da leggere

di ALESSANDRO MORANDINI

Roberto Agirmo sembra, tra i leader del variegatissimo mondo che in Veneto interpreta la presenza dello stato italiano come elemento negativo, la persona che meglio ha compreso, ed in anticipo, non solo la necessità una lotta politica di lungo respiro, ma soprattutto la modalità generale a cui questa lotta si deve conformare.

In queste primi giorni di relativa libertà, più o meno tutte le voci dell’indipendentismo e dell’autonomismo veneto si sono fatte sentire, in vario modo, ed hanno tuonato con diversa intensità contro l’oppressione terroristica dello stato italiano, che ha usato la crisi Coronavirus per esercitare senza più alcuna remora o cautela la facoltà sua fondante: l’autoritarismo, ovvero il disprezzo di quei principi che pongono il rispetto delle libertà personali quale limite invalicabile.

Gran parte di queste voci si sono concentrate, giustamente, sui gravissimi problemi economici derivanti dalla crisi. Chi per sottolineare la deficienza delle misure statali atte a procurare sollievo agli attori economici, chi per sottolineare l’inadeguatezza strutturale di ogni misura che non preveda la restituzione di quell’autonomia veneta alla quale un referendum ha consegnato autorevolezza democratica, chi per ricordare che l’unica realizzazione risolutiva consiste nell’indipendenza del Veneto dallo stato italiano, tutti gli attori politici si sono fatti sentire. E tuttavia la maggior parte delle voci si è resa udibile grazie all’uso dei dispositivi di comunicazione tradizionale, alcuni dei quali hanno visto un incremento del loro utilizzo a causa del lock-down.

Roberto Agirmo, invece, sembra intenzionato a recuperare l’elemento che è stato direttamente ostacolato e messo pericolosamente in questione dall’autoritarismo dello stato italiano: l’incontrarsi nei luoghi pubblici per parlare di politica, di tasse, di autonomia.

Ad eccezione di azioni eroiche e più o meno individuali (ma non perciò meno importanti) messe in atto da riconosciuti protagonisti quali Albert Gardin o Geremia, o semplicemente da persone che, comprendendo intuitivamente la posta in gioco hanno reagito alle violenze delle forze di polizia, pagandone spesso in prima persona il prezzo, il mondo indipendentista non sembra prendere in seria considerazione, agendo poi di conseguenza, il fatto che le suddette e comunque benvenute voci possono essere appena avvertite dalla maggioranza del popolo veneto, sovrastate dall’efficace e tuonante propaganda di Luca Zaia, il cui successo elettorale, come ha ammesso Morosin, è ormai scontato (ma lo stesso Morosin non ammette che un successo di Zaia equivale ad uno svuotamento del già debolissimo Partito dei Veneti). Scrissi nei giorni in cui, nel mondo indipendentista, la febbre generata dalla costituzione del Partito dei Veneti aveva procurato, come capita purtroppo spesso nel nostro mondo, non pochi miraggi, che il destino del Partito dei Veneti, cioè di quel partito che fin dalla fondazione aveva evidentemente rinunciato al messaggio indipendentista o comunque lo aveva confuso, era quello di cozzare e disintegrarsi contro la forza elettorale di Luca Zaia.

Non possiedo impossibili capacità predittive e non compete all’analisi sociale la previsione (è già un ottimo risultato riuscire a definire con chiarezza il quadro delle opportunità e dei meccanismi che nell’interazione gli individui realizzano): era però fin troppo semplice comprendere che un passo verso le posizioni che Luca Zaia rappresenta efficacemente nel dominio dello spettacolo, non aiutano la causa indipendentista e, probabilmente, non procurano nuovi elettori o risultati significativi, al massimo qualche vantaggio per qualche candidato. Con ciò si vuole indicare il rischio che l’indipendentista corre quando rinuncia ai contenuti suoi propri, che va sommato al rischio di trovarsi a calcare in via esclusiva quel palcoscenico dove egli, a maggior ragione se impegnato nel tentativo di adattare il proprio messaggio al tono della musica leghista, di fatto scompare dalla vista e dall’interesse degli elettori. Si vuole indicare quindi che il recupero della manifestazione di piazza, il recupero della buona abitudine di stare insieme, il meeting non solo non posso essere sostituiti dall’illustrazione mediatica di pur importanti messaggi e pur importanti iniziative quali la Costituente promossa da Carlo Lottieri, ma costituiscono l’unica opportunità nonché le pratiche più urgenti per chiarire agli occhi di tutti tanto i contenuti della lotta che quegli stessi messaggi e quelle stesse iniziative implicano, quanto l’importanza della lotta, e nondimeno la sua gravità.

Se oggi finalmente si comprende che la lotta tra indipendentismo veneto e stato italiano non può essere combattuta in via esclusiva nel palcoscenico dove il dominio dello spettacolo si manifesta, se si comprende che, al contrario, si tratta di una lotta politica che inizia negli strati sotterranei della società per poi, successivamente, provocare terremoti in superficie, allora si capirà che Roberto Agirmo, portando già da ora, per primo, le persone in piazza, organizza l’espressione della necessità dell’interazione sociale, della vicinanza tra individui, della riappropriazione della padronanza del proprio corpo, mettendo tutto ciò a confronto con il distanziamento sociale, l’idea di un homo homini virus, l’uso dei corpi che il potere politico intende esercitare questa volta in nome della difesa di un immaginario corpo biologico collettivo.

Roberto Agirmo anticipa ciò che appare indispensabile nella lotta politica tra indipendentismo e stato italiano. Una volta messo sulla scena da funzionari e servitori dello stato italiano il nemico invisibile, micro-organico, presentato nell’unico modo in cui la politica può presentare qualsiasi ente appaia di ostacolo alla realizzazione del delirio di onnipotenza che riduce la società a flusso di materiale umano, dinamica da controllare ed utilizzare con lo scopo di incrementare e perfezionare il dominio dei governanti sui governati; una volta che la promessa di sopravvivenza trova adoranti fedeli ridotti ad agglomerati di funzioni biologiche; una volta che dalla vita di ogni persona viene definitivamente esclusa l’ipotesi della libertà dal potere politico inteso, qui, come governo della società (governo che, privato del limite posto dalla libertà individuale, si rivela sfruttamento di corpi inermi); una volta che sulla base di questi scopi si innesca la resistenza al loro perseguimento, la lotta non può che rivelarsi come scontro tra società e stato, quindi tra disobbedienza e cieca obbedienza, conflitto tra riappropriazione della possibilità di scegliere e riduzione delle opportunità di scelta. La responsabilità di occupare, con la presenza fisica, il territorio divenuto dominio esclusivo di uno stato italiano che ne decreta la fruizione in ogni minimo particolare; la responsabilità di impedire allo stato italiano la disintegrazione del rapporto di abitazione che consegna il territorio all’interazione tra gli abitanti; la presa in carico di questa nobile responsabilità è quella che chiarisce, soprattutto quest’anno, il valore del leader politico, quando questi organizza l’azione collettiva conseguente.

Essendo lo stato italiano, in tutte le sue diverse espressioni istituzionali, l’autore dello slogan imperativo “restiamo a casa”, appare chiaro che solo una forza radicalmente conflittuale rispetto allo stato italiano può generare una risposta concreta ed autentica organizzando la frequentazione libera e naturale del territorio in nome del “usciamo e incontriamoci”. Non penso che tale risposta resterà di esclusiva proprietà del solo Roberto Agirmo e di chi lo seguirà nelle sue manifestazioni. Il mondo dell’indipendentismo veneto e, più in generale, il mondo a vocazione libertaria sa che ha l’opportunità e deve ingaggiare questa battaglia. Ma Roberto Agirmo lo sta facendo già adesso.

Un po’ in tutta Europa, e in misura ancora maggiore negli Stati Uniti, abbiamo visto durante il lock down e vediamo e vedremo con sempre maggiore frequenza assembramenti e manifestazioni osteggiate dallo stato e dai suoi fedeli agglomerati di funzioni biologiche. Potrebbe essere questo il campo sul quale si esprimerà non solo la lotta contro lo stato italiano, ma anche quella sana competizione che determina il valore delle leadership politiche nel campo dell’indipendentismo veneto.

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3 COMMENTS

  1. Cosa dire, grazie sia al giornalista Alessandro Morandini che non ho il piacere di conoscere e grazie a miglioverde!

    Condivido e confido su un aspetto in particolare ….. vorrei che molti altri provassero come sto facendo a RI portare la gente nelle piazze!

    Possibilmente senza estremizzare ma razionalizzando la “protesta” democratica.

  2. Il problema NON sono gli indipendentisti, uomini e donne tutti e tutte piene di buona volontà, è il POPOLO VENETO che è rassegnato alla fine, vuol scomparire. Lo si lasci morire in pace! Siamo in un caso di accanimento terapeutico…

    • C è un rapporto tra il modo in cui l’indipendentismo agisce e la sua credibilità, ovvero un rapporto tramezzi e fini. E, conseguentemente, un rapporto tra indipendentismo e popolo. Non penso che i Veneti siano orientati verso il suicidio, almeno consapevolmente. Il modo in cui questi rapporti si realizzeranno determinerà il futuro del popolo Veneto, che pur non essendone consapevole può suo malgrado essere in cammino, certamente, anche lungo il sentiero del suicidio.

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