Dopo la cena di Conte e Tria con il presidente della Commissione europea Juncker, il nuovo mantra governativo per prendere tempo e per tentare di gabbare gli interlocutori è diventato, più o meno letteralmente, che il deficit si può rivedere di qualche decimale al ribasso. Dopo che per settimane era stato affermato il contrario, considerando il 2.4% di deficit in rapporto al Pil come un totem.
Per esempio, ecco Giggino:
- “Il tema non sono i numerini, ma i cittadini, l’importante è che questa manovra abbia dentro quota 100 per le pensioni, il reddito di cittadinanza, le pensioni di cittadinanza, i rimborsi ai truffati delle banche, oltre al pacchetto imprese. Queste sono misure dalle quali non possiamo prescindere. Poi, se all’interno della contrattazione deve diminuire un po’ di deficit per noi non è importante, il tema non è lo scontro con l’Ue sul 2,4%, l’importante è che non si abbatta di una sola persona la platea che riceve quelle misure.”
Premesso che anche il 2.4% è un numero basato su una stima di crescita del Pil del tutto irrealistica, se la limatura al ribasso di qualche “numerino” si pensa di ottenerla con dismissioni di ruderi per cifre altrettanto irrealistiche o, più probabilmente, rimandando di qualche mese l’entrata in vigore dei provvedimenti di spesa, non si risolve un bel niente.
Al più si mette una pezza per il 2019, ma il problema si ripresenterebbe nel 2020. Se questo sarà sufficiente ad accontentare la Commissione europea, significa che la trattativa sarà ben peggio di quella tra mercanti di tappeti, per dirla con il commissario socialista Moscovici. Se, al contrario, gli interlocutori non abboccheranno, si sarà solo guadagnato qualche giorno.
Nulla di cui stupirsi: il calcio del barattolo è una specialità dei governi italiani, quello del cambiamento incluso.