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Le riviere di Ficara, alla riscoperta di luoghi e personaggi antichi

Da leggere

di PAOLO L. BERNARDINI

Per pagare un piccolo pegno al giornale che ospita questo mio scritto, non di battaglia, per una volta, ma di intrattenimento, e commento ad un testo piacevolissimo, vorrei solo ricordare a Giorgio Ficara che la lingua ligure, che egli mostra così bene di conoscere, e traslittera puntualmente, è lingua, appunto, e non “dialetto”, come l’insigne italianista la chiama, per tutto il corso del libro. Un libro, Riviera.

La via lungo l’acqua che scorre con la leggerezza dei leudi da una riviera all’altra, da Latte alla Lunigiana, quasi. E rammenta, e mi rammenta, altri omaggi di liguri non di nascita, ma da parte di madre o di padre, soltanto, o neppure quello, liguri di adozione o liguri per affinità elettiva, a questa terra bellissima, che definire terra è tuttavia arduo, “leggiadra” come voleva Cardarelli, e Paul Valèry, che, da non liguri, la cantarono splendidamente. D’altronde, il cognome Ficara sembra essere siciliano, ma vi sono numerosi Ficara al nord, nella Torino dove è nato nel 1952, e dove insegna letteratura italiana, il Giorgio autore di questo libro. E, se si consulta il sito di “gens labo” ottima risorsa per individuare la distribuzione dei cognomi italiani, si vedrà che di Ficara ve ne sono ad entrambi gli estremi della Liguria, verso la Francia e verso la Toscana, a Genova, e appunto nella Rapallo su cui amorevolmente Ficara si e ci intrattiene. Riviera è dunque un lirico invito alla riscoperta di luoghi e personaggi antichi e recenti, ma non troppo recenti, della Liguria, le genti fiere che seppero resistere ai Romani a lungo, le “genti diverse” disprezzate da Dante, ingiustamente. Si parla di santi, di leggende, di Madonne che concedono e negano i miracoli come quella di Montallegro, di Ava Gardner, di Ernest Hemingway, di Ezra Pound.

Si parla dei genovesi emigrati in America Latina, di quelli che hanno fatto fortuna, di quelli per cui la miglior fortuna è stata di rimanere nella propria terra. Vi è una caratterizzazione assai bella dei liguri che partono per mondi lontani: lo fanno per affari e avventura, ma rimangono sempre in contatto con la propria terra, non riescono mai ad abbandonarla per sempre, sono vinti e avvinti alla nostalgia come nella celebre canzone degli emigranti argentini. “Ma se ghe pensu” è in fondo in “Va’ pensiero” dei poveracci, meno epico ma più concreto, nel desiderio finale di “posare le ossa” nei pressi del proprio mare. Sono pieni anche di spirito pratico, partono, soprattutto, per concludere affari. Ficara saltella da una riviera all’altra come se non vi fosse la grande soluzione di continuità di Genova, la capitale. Salta di secolo in secolo, si perde in minute descrizioni di fiori e barche, tra gozzi e leudi.

Ci sono riferimenti costanti a Montale, Sbarbaro, Caproni – e come potrebbero non esserci – e volontariamente il professore glissa, un poco snob, su quei poeti di una Genova diversa, industriale e post-industriale, come Edoardo Sanguineti, la Genova operaia. Non ama la poesia pre-novecentesca, nonostante Chiabrera, nonostante, a cavaliere dei due secoli, però, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi. Non cita De André, ma il riferimento è d’obbligo, al grandissimo poeta, quando si parla di Sinan Capudàn Pascià, naturalmente (e della cima, cui De André dedicò una delle liriche più struggenti del suo canzoniere, e di quello ligure novecentesco). Insomma, un pellegrinaggio in una terra d’incanti, tuttora, che vuole essere viaggio nel tempo e nello spazio, sia pure oleografico, sia pure ogni tanto rettorico, ma non privo di un fascino sia per chi la riviera per eccellenza bene conosca – come colui che scrive queste righe, genovese – sia per il neofita, in cerca di una guida per quel filo di rocce sul mare, o di mare che guarda la roccia, che è la riviera ligure.

Per questo, nel mio rifugio ligure, amerò tenere il libro in buona compagnia. Di un coetaneo di Ficara, Vittorio Sgarbi, che forse vent’anni fa percorse le riviere e vi trovò tesori e tesoretti d’arte ignoti ai liguri stessi, o dimenticati, pubblicando con “Il Secolo XIX” una serie illuminante di schede; e di un francese, autore di vari libri d’arte e di viaggio, molti di contenuto italiano (Lucca, ad esempio), altri francese, che visse tra Ottocento e Novecento, Jean de Foville (elogiato ad un certo punto da Montale, che lo tolse così da certo oblio), che nel 1907 pubblicò un delicatissimo libro sulle bellezze di Genova, un poco dimenticata, ancorché sempre presente, la Superba (ma anche, come Venezia la rivale, la Serenissima), qui, da Ficara.

TITOLO: Riviera, la via lungo l’acqua; EDITORE: Einaudi; PAGINE 185

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