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Leggi, norme e potere servono a modellare il suddito ubbidiente

Da leggere

di ENRICO DELL’OLIO

Molti di noi non si rendono conto di quanto siano limitate le nostre vite e di quali siano le strategie messe in campo dallo Stato per condizionarci fin dalla più tenera età ad essere accondiscendenti e, paradossalmente, considerare ogni limitazione che viene sistematicamente fatta alle nostre libertà come non solo congrua, ma fondamentale ed utile per la nostra stessa vita.  Per farvi riflettere sul tema vorrei partire facendovi un semplice esempio.

Chiunque abbia deciso di diventare un imprenditore di sé stesso e magari aprire una piccola attività commerciale ha subito dovuto confrontarsi con leggi, norme, lacci e lacciuoli che per chiunque abbia un minimo di intelligenza non possono essere definiti che perdite di tempo (nella migliore delle ipotesi) o vere e proprie incongruenze o ostacoli alla propria attività (nella peggiore delle ipotesi). Che senso ha regolamentare l’orario ed i giorni di apertura e di chiusura di un’attività commerciale? Perché se vogliamo lavorare di più o di meno non ci è concesso e per farlo necessitiamo di un’autorizzazione speciale? Perché se apro il mio negozio in orari non espressamente previsti vengo multato? Come mai devo avere attrezzature che non prevedo di usare solo perché quel tipo di attività commerciale, per essere legale, le prevede?

E’ chiaro a qualsiasi professionista di un qualsivoglia settore che nel momento in cui si decide di investire denaro nell’apertura di un’attività commerciale il primo obiettivo è di strutturare l’attività in modo che i costi vengano ridotti al minimo (ciò che non è strettamente necessario o addirittura rappresenti un costo inutile non dovrebbe essere neppure preso in considerazione) mentre, al contempo, servizi e merci offerte siano della più alta qualità possibile. In gergo economico ciò si chiama ottimizzazione delle risorse che, per definizione, sono scarse e finite.

E’ altresì chiaro che se non sono libero di intraprendere nella maniera e nelle modalità che ritengo più consone il rischio di fallimento aumenta proporzionalmente.

Chiunque sia dotato di un minimo di pragmatismo non può che essere d’accordo con quanto appena detto, ed è chiaro che per lo Stato il fallimento di un’attività come conseguenza di regole non necessarie al suo funzionamento, o addirittura dannose, dovrebbe interessare, dal momento che un’attività commerciale chiusa significa meno tasse riscosse. Fino a qui tutto logico, lapalissiano e razionale, ma allora perché nonostante questa evidenza (direi scientifica) assistiamo ad un continuo proliferare di leggi e norme che ci forzano a fare quello che di partenza già sappiamo sarà scorretto e limitante per la nostra attività commerciale?

Se lo chiediamo ad un rappresentante delle istituzioni o ad un messo comunale, ci verranno date svariate risposte, del tipo:

  • Se tutti facessero quello che vogliono saremo nella totale anarchia;
  • E’ necessario normare le cose per creare un contesto adatto ad una sana crescita economia;
  • E’ necessario creare una “cornice” di riferimento uguale per tutti;
  • Dobbiamo proteggere il consumatore;
  • Se ognuno facesse quello che vuole come potremmo controllare la qualità dei servizi o delle merci vendute;
  • Gli orari di apertura e di chiusura servono per non obbligare nessuno a dover lavorare a ciclo continuo…, del resto esiste anche la famiglia;
  • Se non imponessimo vacanze obbligatorie in periodi prestabiliti gli imprenditori non le concederebbero mai.

Potrei continuare per un’intera pagina ad elencare presunte giustificazioni che sembrano derivare da un generale buon senso, ma credo che quanto appena scritto sia già più che sufficiente al mio scopo.

Il vero punto qui non è cercare di creare dei vantaggi per tutti all’interno di una società ordinata, come ci è sempre stato detto e/o vorrebbero farci credere, ma la ragione che sta alla base delle regole che pervadono ogni aspetto della nostra vita è assai più subdola: “Educare le persone al rispetto dell’autorità, far credere all’individuo che ogni cosa che fa o farà è diretta concessione di un’entità superiore, un’entità, lo Stato, che si arroga il diritto di decidere ogni aspetto della nostra vita fino dall’infanzia facendocelo percepire come qualcosa fatto per il nostro bene e non come una continua erosione delle nostre libertà di scelta”.

Più questo meccanismo viene accettato e implementato negli anni, prima attraverso la scuola, dove per andare al bagno dobbiamo alzare la mano (non credo ci sia nulla di più umiliante per una persona che chiedere il permesso di poter fare i propri bisogni) e poi, mano a mano che cresciamo attraverso i diplomi, le certificazioni, le leggi 626, quando andare in vacanza, le feste comandate, gli orari di apertura e chiusura, le strumentazioni che dobbiamo avere nei nostri negozi, etc, e più la nostra volontà viene piegata e annullata fino all’annichilimento totale.

Il controllo dell’individuo è per uno Stato l’obiettivo ultimo e primario, è quello che successivamente permette a questa entità astratta di mandarci in guerra a morire per la patria o per l’instaurazione della democrazia nel mondo o versare il 70% di quello che produciamo attraverso le imposte senza che nessuno non solo insorga, ma neppure si permetta di chiedere spiegazioni. Quando la nostra vita e le nostre libertà si trasformano da diritti naturali a doni, quando la possibilità di fare o non fare si trasforma in regalia subordinata all’approvazione di una qualsivoglia entità, ecco che tutto diventa possibile e le porte alle ideologie più distruttive si aprono (Comunismo, Nazismo, Fascismo, Socialismo bolivariano, ecc…).

Educarci fin da piccoli attraverso l’applicazione di norme palesemente assurde, ma fondamentali per stabilire una forte capacità di comando incondizionato è ciò che lo Stato mette in opera continuamente con l’unica finalità di annientare ogni coscienza residua, ogni capacità di critica o sussulto di libertà nell’individuo. Con queste premesse, ogni protesta pubblica o corteo non può essere letto che come una completa e totale accettazione di un potere imposto e chi vi partecipa va considerato come un cane al guinzaglio che abbaia al proprio padrone nella speranza che quest’ultimo gli conceda qualche centimetro in più di corda.

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