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Lo “stato innovatore” fa molto comodo ai parassiti

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di MATTEO CORSINI

Quando la madrina dello “Stato innovatore”, Mariana Mazzucato, torna nella sua terra d’origine, c’è sempre qualche collega domestico che fa da cassa di risonanza alle sue posizioni, basate sull’idea di fondo che senza lo Stato non ci sarebbe innovazione, quanto meno non allo stesso modo a cui abbiamo assistito nel corso del tempo.

Prendete il caso di Fabrizio Onida della Bocconi, che scrive: Una Cdp che operi come un nuovo Iri virtuoso e “technology oriented”, capace di confrontarsi in modo assertivo con gli investitori esteri (ce ne sono tanti, anche cinesi…) in nome di veri interessi nazionali, che a certe condizioni possono essere valorizzati anche da azionisti lungimiranti di altri Paesi (come avvenuto con General Electric, Siemens, Bosch, Abb e altri). Capitalisti non italiani che combinandosi con le nostre (spesso invidiate) competenze manifatturiere riescono ad allargare la frontiera dei nostri vantaggi competitivi attuali e potenziali”.

La Cassa Depositi e Prestiti è di fatto già una sorta di Iri, tra l’altro non consolidata nel bilancio delle amministrazioni pubbliche perché in parte minoritaria partecipata da soggetti privati (in gran parte fondazioni bancarie, che sono formalmente private, ma sostanzialmente pubbliche).

Qualcuno avrà notato il recente battage pubblicitario sui Buoni postali fruttiferi, che rappresentano una forma di raccolta necessaria a Cdp (e, indirettamente, al Tesoro), per le operazioni “virtuose” di cui parla Onida. In sostanza il risparmio postale serve a Cdp per “confrontarsi in modo assertivo con gli investitori esteri”.

Purtroppo queste partnership pubblico-privato sono spesso finite col dare luogo a brutte forme di quello che nel mondo anglosassone chiamano crony capitalism, che poi altro non è se non il modello corporativista in voga in Italia durante il Ventennio e, chissà perché, mai ripudiato assieme al resto di quanto avvenne in quel periodo.

Lo “Stato innovatore” è certamente utile a ricercatori in cerca di finanziamenti “pazienti” e a imprenditori in cerca di “protezione”, quando non solo di denaro del contribuente. Tuttavia, a maggior ragione considerando l’esperienza storica, è lecito dubitare che, proprio per il contribuente, i vantaggi siano superiori ai costi. E questo anche tralasciando quello che è tutt’altro che un dettaglio: il contribuente non può rifiutarsi di partecipare al finanziamento.

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