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Nostalgia della milano austriaca, dopo 150 anni di caos e parassitismo italici

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di ROMANO BRACALINI

milano austriacaIl tempo anziché annebbiare il ricordo esalta i meriti e la memoria dell’Austria imperiale. Va da sé che i patrioti italiani non la raccontavano giusta: e per far apparire desiderabile l’Italia occorreva infangare al massimo l’immagine dell’Austria descritta dagli storici di corte come peggio non si poteva. La realtà è un’altra. Il regno di Maria Teresa d’Austria è ricordato in Lombardia come un esempio di rigore amministrativo e di grandi riforme. Dopo il degrado spagnolo, lo Stato prende forma politica moderna. Siamo alla metà del Settecento. L’Austria è subentrata al cadavere spagnolo. Una donna piccola e grassottella, che non ha nulla del sovrano rappresentato dall’oleografia, è destinata più d’ogni altro a cambiare il volto della città e a interpretarne le ansie di rinnovamento. Maria Teresa risiede a Vienna ma considera Milano la perla dei nuovi territori acquisiti dopo la guerra di successione e la pace di Utrecht. Concepisce per la Lombardia un vasto piano riformatore. Libertà di commercio, sviluppo dell’industria e dell’agricoltura; ma il suo capolavoro è il catasto (ancora sconosciuto in larga parte del Sud), l’ordinamento e la compilazione dei beni prodotti. Le tasse sono eque e hanno il vantaggio di restare per la gran parte sul territorio. I sudditi sono trattati con civiltà e rispetto dai funzionari assurgici, in gran parte lombardi e trentini. Maria Teresa rinnova il costume degradato e corrotto dal formalismo spagnolo, sopprime i privilegi feudali (in auge in Sicilia fino al 1950) abolisce il diritto di asilo, che concede il ricovero degli assassini nelle chiese, ripulisce la strade dando dignità al lavoro e riducendo gli eccessi della pubblica carità; abolisce l’inquisizione e la censura ecclesiastica, riduce il latifondo, favorisce la piccola proprietà. In Lombardia vige la doppia monetazione: la lira milanese d’argento e il fiorino, il golden di carta, e l’arguzia milanese aveva trovato il modo di ridere della svanzica (venti), la lira austriaca, che recando l’impronta dell’aquila bicipite, era chiamata Checch, gallina. La vita quotidiana scorre semplice e serena, finchè non verranno i mestatori tricoloriti a prospettare un forma di vita nuova, nazionale, che era poi quella italiana. Ottone in cambio di oro.

In ottobre arrivavano in piazza Castello i carri con le botti di vino nuovo, si toglieva la spina e si lasciava bere a on sold al fiaa. Di trippe incoronate e cervellate si trova menzione anche nell’Aretino. Maria Teresa impresse il segno nelle opere che rappresentano il suo monumento più duraturo. Incrementò l’istruzione pubblica, con la scuola elementare obbligatoria e gratuita: caso unico nella penisola che al Sud fino all’unità aveva una percentuali di analfabeti che rasentavano il 90-95 per cento. Vennero poi le grandi istituzioni vanto della città: il teatro alla Scala, inaugurato nel 1778; il palazzo ducale, poi reale, anch’esso opera del Piermarini; la biblioteca Braidense, 24mila volumi: ed ecco la Villa reale, la prima forma di giardino pubblico. Nulla doveva risultare inutile e tutto di pubblica utilità. A Milano Maria Teresa aveva voluto l’uomo giusto, il conte Firmian ,protettore della musica e delle arti. Milano divenne un crocevia; venne il giovane Mozart ricevuto con tutti gli onori dal governatore di Milano, Milano era una città ricca e felice. Più che la parsimonia asburgica ricordava il lusso francese, e così la vide un giovane ufficiale francese, dopo Marengo, Stendhal; ma con i francesi Milano decadde presto dal ruolo di prestigio per diventare un dipartimento francese oppresso e oberato dalle tasse.

Com’è possibile che la propaganda italiana, subdola e menzognera, sia riuscita a far breccia in una minoranza di nobili idealisti illusi? Fatto sta che il tempo lavorò per la fine dell’impero e l’avvento – con i soliti metodi del ladro – di questa orrenda Italia governata dalla confraternita della lupara e dalla burocrazia corrotta e semianalfabeta di stampo borbonico.  Si vide subito ciò che si era perso. Dopo il ’61 gli operai cominciarono a scendere in sciopero stanchi del pane di mistura e della tassa sul macinato. Una canzone popolare diceva:

Canta, lavora e mucchela

Coi to dò checch al dì,

ovvero quaranta centesimi al giorno, che assomigliano alla miseria degli 80 euro promessi da Renzi, chiacchierone e tirchio come tutti i fiorentini.

 

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2 COMMENTS

  1. Lo stato italiano è stato fatto dal Piemonte, ma le colpe di questo sfacelo sono ovviamente dei soliti terroni, proprio loro che hanno versato il sangue per difendere la propria indipendenza.

  2. Se non fosse per il duomo sullo sfondo e le barche che non son gondole più che Milano sembrerebbe Venezia… tanto basta per dare l’idea dei danni che hanno fatto a Milano coprendo i navigli.

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