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Professioni libere? Un problema trascurato!

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di LEONARDO GUALANDO

Il tema delle cosiddette Libere Professioni è sistematicamente misconosciuto in qualunque ambito di potere, ma sorprendentemente soprattutto in quelli “di categoria” e a qualunque livello. Questo induce chi gestisce quel potere ad abusarne e ha condotto coloro che si definiscono acriticamente Liberi Professionisti a essere sempre più funzionali a un intricato, capillare sistema di controllo dell’intera popolazione.

Al contrario, una riflessione sull’essenza e sulla spontanea esistenza delle Libere Professioni porta a ritenerle potenziale elemento di garanzia: libertà diffusa e tutela dal controllo. Ciò le rende tema che è opportuno non trascurare. Una fonte interessante di informazioni e riflessioni, è il testo di J. F. Volrad Deneke “Die Freien Berufe” pubblicato nel 1956 e tradotto in italiano (Le libere professioni) nel 1987 a cura del Consiglio Nazionale Geometri, ma difficilmente reperibile.

Una breve descrizione

In termini colloquiali “professionista” si impiega spesso come sinonimo di “libero professionista”, ossia occupato in una libera professione; ma in senso generale è professionista chi pratica abitualmente e sistematicamente un’attività che chiunque può svolgere come dilettante in modo saltuario e variamente approfondito. Sarebbe superficiale ritenere che la distinzione fra professionista e dilettante sia di carattere remunerativo: si potrebbe piuttosto individuare una demarcazione nella natura privata del dilettante e pubblica o ufficiale del professionista, che mette a disposizione di altri la propria competenza in un certo settore, stabilendo vincoli contrattuali.

Nulla vieta che un dilettante esprima pareri, anche molto pertinenti o geniali, ma non se ne assume la responsabilità né formale né sostanziale. Probabilmente è dall’assunzione contrattuale di responsabilità e conseguenti ricadute economiche che nasce la sopravvalutazione della remunerazione.

In tal senso possiamo dire Liberi coloro che pattuiscono con molteplici Committenti l’offerta delle proprie prestazioni professionali e Dipendenti coloro che stipulano con un preciso Committente un contratto che li vincola a svolgere la propria professione per lui solo. Questi ultimi sono certamente Professionisti, ma non liberi in quanto la loro controparte contrattuale può decidere quali settori della Professione curare di più e quali meno. La scelta contrattuale è comunque libera, e quindi etica, ovviamente a meno di scelte criminali del decisore (ogni riferimento al dipendente statale dev’essere ponderato). Per ragioni che tratteggeremo di seguito è invece più problematica la libertà dei primi, di per sé stessa più vulnerabile come lo sono tutte le libertà.

Inquadramento normativo

Il fatto che delle libere professioni si occupi lo stesso codice civile è di per sé un campanello d’allarme significativo. Che poi “la legge” (chi era costei?) determini per quali professioni è necessaria l’iscrizione a un albo, stabilisce un ulteriore vincolo incoerente con la vantata libertà.

Fatte parzialmente salve le professioni che non richiedono tale iscrizione, si deve notare come quelle dette ordinistiche, ossia con obbligo di iscrizione in un Albo, hanno un’ulteriore caratteristica illiberale: l’iscrizione è riservata e possibile a chi è in possesso di un determinato titolo ed esercita prevalentemente in un determinato territorio. Questo fa sì che:

  • (1) il Consiglio Direttivo del locale Ordine non possa rifiutare l’iscrizione a chi è in possesso di quei requisiti;
  • (2) il candidato non possa scegliere a quale Ordine chiedere l’iscrizione.

Che una simile condizione investa chi si fregia di Libertà è paradossale; ma è soprattutto pericoloso perché il potenziale Committente non ha alcuna reale indicazione sul livello qualitativo delle prestazioni che potrà aspettarsi.

Professioni asservite

Ma c’è un pericolo più subdolo. Gli Ordini sono malauguratamente sotto la vigilanza statale e rispondono dunque delle loro “politiche” allo stato. Non per nulla, infatti, di politiche si parla. Nel corso dei decenni, col ben noto ed efficacissimo metodo della rana bollita, le attività libero professionali sono state sempre più incanalate fino a snaturarle annichilendo la funzione di possibile difesa del cittadino dall’aggressività statale.

Infatti oggi si può ancora ravvisare per un Libero Professionista la libertà di difendere un cittadino da un altro, ma non dallo stato, che già ha il terribile vantaggio della decisione ultima nei confronti del cittadino. Si pensi per esempio all’istituto dell’asseverazione, con cui un Professionista Tecnico assume la responsabilità della rispondenza di un documento alle norme imposte dalla P.A. Se in origine la sua firma comportava la responsabilità della rispondenza del contenuto alle proprie conoscenze professionali e ai pubblici funzionari competevano le verifiche, oggi si è arrivati pian piano ad affibbiargli il compito di svolgere l’attività del pubblico funzionario, al quale non compete neppure più un’effettiva verifica (ormai in capo ad algoritmi più o meno noti e sicuri).

Altri esempi si ravvisano negli standard di valutazione immobiliare, nei crediti formativi, nell’obbligo di compilazione del F.S.E. oppure nei famigerati “protocolli sanitari” e così via. Se aggiungiamo il fatto che le innovazioni complicate, spesso chiamate ironicamente “semplificazioni”, sono accolte con entusiasmo dagli Ordini che le spacciano per “occasioni di lavoro”, va da sé che non ha più alcun senso parlare di rapporto fiduciario fra Professionista e Committente, dato che quest’ultimo, che già paga pro quota lo stipendio al funzionario pubblico al cui ghiribizzo si deve sottomettere, è costretto a sborsare ingenti somme di denaro per una prestazione che cura prima di tutto l’interesse… della P.A.! Di fatto, quindi, alle fisiologiche categorie di Professioni Libere e Dipendenti se n’è aggiunta una terza, palesemente patologica: le Professioni Asservite. E le si è concesso, o addirittura imposto, di scalzare col tempo la prima.

Lavoro intellettuale in senso lato

Qualsiasi lavoro, e non solo le professioni in qualche modo specificate, comporta una parte di attività intellettuale, di ideazione, e una parte manuale, di esecuzione. Sottomettere la parte intellettuale a voleri esterni, dominanti, trasforma parte dell’attività che dovrebbe essere intellettuale in attività esecutiva, e lo fa in modo surrettizio perché continua a chiamare professionale l’attività divenuta puramente operativa: la compilazione di un modulo che non è più un eventuale mezzo utile a tenere ordine nel proprio lavoro, ma è divenuto un fine, imposto per soddisfare richieste volte a potenziare il controllo pubblico sul singolo, automatizzandolo.

È un problema generale, ma soprattutto nelle Professioni. Lo testimonia la presenza pervasiva in ogni scheda di dati non pertinenti al tema che tratta. Nelle sue conclusioni il citato Deneke scriveva “Lo Stato che vuole dirigere la società in senso collettivistico deve avere la tendenza a sottrarre la libertà alle libere professioni. A prescindere da dove e dalle forme in cui si sviluppano e si affermano le forme autoritarie di dominio, la loro affermazione procede sempre di pari passo con una esclusione e una soppressione delle libere professioni: il medico diventa un funzionario di pubblico impiego alle dipendenze di aziende sanitarie statali o parastatali; l’avvocato viene relegato alla regolamentazione dei rapporti giuridici interpersonali e possibilmente viene escluso del tutto; il consulente fiscale diventa lo sbirro dell’amministrazione finanziaria; lo scrittore, l’artista, l’architetto diventano propagandisti del regime. Poiché la vocazione nelle libere professioni ha caratteri anti-autoritari, in seno a tali professioni viene costantemente esercitata una resistenza contro le tendenze autoritarie. La ‘ostilità all’intelligenza’ dei regimi autoritari non è mai orientata contro l’intelligenza, ma sempre e soltanto contro l’intelligenza libera. Anche lo Stato democratico che trascura le libere professioni, o in cui le libere professioni non lottano più per il mantenimento della loro peculiarità, sospinge inesorabilmente verso il totalitarismo di Stato.” Si può aggiungere che la tendenza a irregimentare tutti gli aspetti intellettuali, e non solo quelli libero professionali, può essere ascritta a questa pericolosa tendenza.

Soluzioni?

Non è raccomandabile chiedere a chi evidenzia un problema di proporre la (propria) soluzione: nulla garantisce che chi vede il problema conosca anche la soluzione. E, se ha l’ardire di suggerirne una, è pericoloso convincersi che sia corretta. Si pensi a “Karl”, che non avrebbe fatto gran danno se si fosse limitato a esprimere le propria preoccupazione per problemi che vedeva; e invece vaticinò la soluzione…

D’altronde non c’è neppure certezza che ogni problema l’abbia davvero, la soluzione; se così fosse saremmo potenzialmente immortali! Può esserci una soluzione come può non esserci; ma potrebbe anche essercene più d’una, con effetti e gradimento personale diversi.

Infine, tanto se la soluzione manca quanto se non si riesce a trovarla, è pericolosamente ingannevole convincersi di averne una fasulla. Come è ingannevole parlare pomposamente di problem solving quando si dovrebbe parlare piuttosto di problem facing: i problemi possono essere sempre studiati, anche quando non si ha certezza di trovare una soluzione, per potersi attrezzare e affrontarli nel modo che ognuno ritiene liberamente di preferire. Si deve quindi auspicare che tutti, e in primis coloro che si sentono portati per la Professione Libera, prestino diuturna attenzione agli aspetti preoccupanti delle tendenze statali e sovrastatali (Europa non docet ma dictat) e non rinuncino a segnalare gli ogni aspetto annichilente delle politiche in atto e a sensibilizzare in merito tutte le potenziali vittime.

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