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Quei popoli sovrani a cui è negato il voto democratico

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di ENZO TRENTIN

camera_deputati_ansaAnche l’indipendentismo ha i suoi “Nemici intimi”. Nemici “interni” più o meno consci del loro ruolo. A sostegno di questa nostra tesi faremo una serie di constatazioni in parallelo con la cosiddetta “sale guerre en Algérie”, e certo indipendentismo europeo.

La guerra d’Algeria (uno degli ultimi episodi di decolonizzazione), o meglio la guerra franco-algerina o guerra d’indipendenza algerina, è il conflitto che oppose tra il 1º novembre 1954 e il 19 marzo 1962 l’esercito francese agli indipendentisti algerini guidati dal Front de Libération Nationale (FLN), che aveva rapidamente imposto la propria egemonia sulle altre formazioni politiche.

L’Ennemi intime [ VEDI QUI ] è un film del 2007 diretto da Florent-Emilio Siri, ambientato durante la Guerra d’Algeria.  Siamo nel 1959

mentre il conflitto tra l’esercito francese e i ribelli del Front de Libération Nationale si intensifica, il tenente Terrien viene assegnato nella zona calda dei monti della Cabilia. Affiancato dall’esperto sergente Dougnac, reduce della guerra d’Indocina, l’ufficiale, animato dal più sincero idealismo, è costretto a confrontarsi con la brutale realtà di una guerra spietata: propagandata in patria come un’opera di pacificazione, in realtà essa è condotta con assoluta ferocia sia dai guerriglieri (Fellagha) che dalle truppe francesi, tra torture e rappresaglie ai danni della inerme popolazione civile.

È un classico caso di azione legale ma illegittima dello Stato francese, ma che tolto l’aspetto bellico, è ancor oggi riscontrabile in vari Stati europei che illegittimamente si oppongono alle istanze indipendentiste, per esempio: dei catalani, dei fiamminghi, dei veneti (lombardi) e molti altri ancora.

La Francia è presente in Algeria dal 1830, ma a differenza delle altre colonie francesi è considerata territorio metropolitano. In altri termini: è considerata dai francesi una colonia di popolamento dove i cosiddetti Pieds-noirs (francesi trasferitisi in Algeria) sono la componente europea più numerosa ed attiva. Sulla carta (dell’assimilazione, 1947) gli arabi autoctoni hanno più o meno gli stessi diritti, ma di fatto rappresentano due distinti gruppi semplicisticamente etichettabili come cittadini di serie A i primi, e di serie B i secondi.

Quando il 1° novembre 1954 scoppia la rivolta con attentati dinamitardi, incendi ed assalti vari, Ministro dell’Interno è l’allora trentasettenne François Mitterrand, che afferma: «La ribellione algerina può trovare un’unica forma terminale: la guerra. […] L’Algeria è la Francia! E la Francia non riconoscerà mai, in casa sua, altra autorità che non sia quella francese.» In quel periodo la popolazione autoctona è di circa 10 milioni di abitanti, mentre gli europei sono poco più di un milione.

Nel gennaio 1956 va al governo il socialista Guy Mollet. In una conferenza stampa dichiara: «L‘Algeria non esisteva prima dell’arrivo dei francesi [1830]. Loro l’hanno fatta. L’Algeria è la Francia. Non si tratta di colonialismo.» Va riconosciuto che grazie ai Pieds-noirs

(francesi d’Algeria per cittadinanza anche se non sempre di origine francese) l’Algeria diviene una regione con una fiorente e prospera agricoltura. Possiamo cominciare da qui a fare qualche analogia, perché sembrano, nella sostanza, le affermazioni dei giorni nostri nei confronti dell’indipendentismo veneto (e catalano). Un potere legale ma illegittimo, ispirandosi a logori e discutibili concetti risorgimentali tende ad accreditare i veneti come italiani, relegando il popolo veneto e la Repubblica di Venezia a fenomeno minore, da liquidare in qualche paginetta di sussidiario scolastico tra le repubbliche marinare, e sottacendo strumentalmente i circa 1100 anni di storia, e di autogoverno, che collocavano Venezia tra le maggiori potenze del suo tempo. 

In Francia Jean-Paul Sartre (uno dei sottoscrittori del Manifesto dei 121) sottolinea nell’Express e in Les Temps modernes: «La conquista è fatta con la violenza; il super sfruttamento e l’oppressione esigono il mantenimento della violenza, […] Il colonialismo nega i diritti umani a uomini che ha sottomesso con la violenza, che mantiene con la forza nella miseria e nell’ignoranza e quindi […] in una condizione di “sub-umanità”. Nei fatti stessi, nelle istituzioni, nella natura degli scambi e della produzione, è iscritto il razzismo».

Anche qui come non sottolineare la comparazione con lo Stato italiano? Un soggetto iper tassatore che costringe all’indigenza sempre più ampi strati di popolazione. Come sottacere di un fisco persecutorio che ha indotto centinaia di suicidi tra i piccoli e medi imprenditori? Di contro non sono diminuiti né i privilegi alla casta politico-burocratica, né l’inarrestabile spesa pubblica che solo nei primi sei mesi del 2014 ha aumentato il deficit pubblico di ulteriori 100 miliardi di Euro.

Tornando all’Algeria, il 6 settembre 1960 viene pubblicato il “Manifesto dei 121”, una dichiarazione sottoscritta da numerosi intellettuali francesi (cattolici di sinistra ed appartenenti all’estrema sinistra) che giustifica «il diritto alla insubordinazione» nella guerra d’Algeria.

AlgeriA noi vorremmo fosse concesso di parafrasarne alcuni passaggi, perché la stessa Intelligencija catto-sinistrorsa italica si oppone oggi a ciò che sosteneva in passato per l’Algeria: «Un’importante movimento si sta sviluppando in Europa. Nel momento in cui la nuova svolta nell’autodeterminazione dei popoli deve condurci a vedere, a non dimenticare la profondità della crisi. Il recente referendum scozzese rappresenta un inizio. Una storica svolta. Un numero crescente di europei viene perseguitato dai debiti pubblici degli Stati provocati dalla partitocrazia imperante. Viene “imprigionato” dal silenzio del mass-media al servizio di poteri economici, anziché al servizio della corretta informazione. È condannato all’impoverimento e all’invasione terzomondista incontrollata. Poiché rifiuta di partecipare a questa “guerra” è fuorviato al sostegno di sedicenti indipendentisti che, di fatto, aiutano il mantenimento dello status quo. I popoli catalano, fiammingo, tirolese, basco, corso, veneto e altri ancora, sono impegnati in una lotta per l’indipendenza nazionale; ma per i poteri costituiti essa non esiste. Viene semplicemente e illegittimamente vietato il pacifico e democratico esercizio di voto – anche quello consultivo – sulla questione dell’indipendenza. Che cos’è questo? Non è una “guerra” esterna. Non è una “guerra” di difesa nazionale. Non basta nemmeno dire che sia una “guerra” di conquista, o una “guerra” imperialistica gravata da forme di razzismo. Designata dallo Stato stesso come operazione di mantenimento dello Stato nazionale ottocentesco, costoso ed inefficiente, essa è divenuta a poco a poco un’azione propria dell’esercizio di una casta politico-burocratica che si rifiuta di accettare ciò che lo stesso potere dei civili diritti umani è disposto a riconoscere. I sottoscritti dichiarano: noi rispettiamo, e stimiamo giustificato il rifiuto di prendere le “armi” rappresentate da una prolissa legiferazione che non è supportata dal consenso tramite l’esercizio della sovranità popolare. Noi rispettiamo, e stimiamo giustificata la condotta di quei popoli che si credono in dovere di fornire aiuto e protezione ai catalani, ai fiamminghi, ai veneti, e a quant’altri sono oppressi in nome di una pseudo democrazia che rifiuta ai popoli l’esercizio del diritto di voto atto a determinare il proprio futuro. […] I Valori della nostra resistenza a questo stato di cose, sono gli stessi valori della resistenza da cui è nata, per esempio, la Repubblica italiana. Sono gli stessi valori tanto cari ai giustificazionisti dell’odierna partitocrazia, detentrice di un potere legale ma illegittimo».

Attualmente in Italia il fronte indipendentista è diviso in numerosi gruppi in costante contrapposizione tra loro. Noi auspichiamo che tali divisioni siano dovute – come nel caso algerino – solo alla mancanza di un progetto politico. Realizzato il quale, similmente a quanto avvenne per FLN, esso diventi ad un certo punto sintesi unificante.

Quanto ai sedicenti indipendentisti che oggi siedono nelle istituzioni italiane (con i privilegi che tutti conoscono) com’è possibile che costoro e i loro emuli o fiancheggiatori siano credibili? Prima di rispondere, avanziamo un’analogia. Suggeriamo al lettore di visionare il dialogo tra un Harki (1) ed il Fellagha (2) prigioniero tratto da questo spezzone del film L’Ennemi intime:

[yframe url=’https://www.youtube.com/watch?v=_TvjRMb8PXQ’]

Gli indipendentisti che si affidano ai politici sopra indicati sono come la sigaretta dimostrativa del Fellagha: da un lato c’è la sedicente voglia d’indipendenza di alcuni politicanti boccaloni che affermano – senza essere credibili – di volere un sistema legislativo di tipo svizzero. Se questo fosse introdotto in un Veneto indipendente essi non avrebbero i privilegi che inseguono, essendo quello un sistema che consente al popolo di non elargire privilegi ingiustificati. L’altro è la partitocrazia. In entrambi i casi i sinceri indipendentisti perdono in partenza.

Non sanno più a chi affidarsi: non alla partitocrazia che non darà loro l’indipendenza.

Non a chi concorre alle elezioni dello Stato per riceverne le prebende.

Né ci si può affidare a chi – in qualità di ex Consigliere regionale o ex parlamentare – vive da anni dei vitalizzi, degli stipendi e dei privilegi di un potere legale ma illegittimo, a volte corrotto, corruttibile, troppo spesso inefficiente.

Costoro non hanno interesse a che l’Italia sia territorialmente menomata di una parte del suo territorio che è prodiga di gettito fiscale e/o impositivo, perché quell’Italia toglierebbe prontamente e sicuramente i loro privilegi. Infatti, perché pagare questi epigoni dei fellagha? Meglio costringerli a ritornare al grigiore del proprio quotidiano dal quale gli elettori (ma più spesso i partiti da cui sono stati nominati) li hanno sollevati con il voto.

Quel voto democratico – lo ripetiamo – che oggi alcuni Stati europei rifiutano ai loro popoli sovrani.    

* * *

NOTE:

(1) Harki: soldato algerino fedele alla Francia. Si unirono all’esercito francese dal 1957 al 1962, durante la guerra in Algeria con contratto mensile rinnovabile senza status militare. Le “harkas” erano formazioni altamente mobili furono impiegate prima a livello locale per difendere i villaggi, e poi incorporate ai commandos che attaccavano sotto la responsabilità di ufficiali francesi.

In Algeria, Harki divenne sinonimo di traditore e collaboratore. Per Mohand Hamoumou, gli Harki algerini hanno dovuto lasciare il loro paese a causa del loro comportamento anti-indipendenza durante la guerra.

Tuttavia, lo storico Mohammed Harbi, un ex membro del FLN, ebbe a dichiarare: «l’idea che gli Harki fossero traditori o collaboratori dovrebbe essere superata.»

Con l’indipendenza dell’Algeria, solo 42.500 Harki poterono trovare rifugio in Francia.

Gli Harki, come altri ausiliari, ottennero lo status di veterani di Francia con una legge del 9 dicembre 1974. 14 aprile 2012, Nicolas Sarkozy ha riconosciuto ufficialmente la responsabilità del governo francese di aver “abbandonato” gli Harki dopo la fine della guerra in Algeria nel 1962.

Nel 2012, è stato stimato che gli Harki e i loro discendenti ammontano a circa 500.000/800.000 persone.

(2) Il termine Fellagha (che letteralmente significa “bandito” in arabo) si riferisce a gruppi di militanti armati collegati con i movimenti anti-colonialisti del Nordafrica francese. Nella maggior parte dei casi viene utilizzato per definire i nazionalisti algerini che, attraverso la lotta armata, scacciarono i francesi da quella che ai tempi era una loro colonia. Durante la Guerra d’Algeria i Fellagha combatterono agli ordini del Front de Libération Nationale o FLN.

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