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Shale oil & gas, chesapeake energy porta i libri in tribunale

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di MATTEO CORSINI

Il 28 giugno Chesapeake Energy, società leader nell’estrazione di shale oil e gas, ha portato i libri in tribunale, aprendo una procedura secondo il Chapter 11 della legge fallimentare statunitense. Con una capitalizzazione di borsa scesa a 116 milioni di dollari, Chesapeake ha debiti per 9.6 miliardi.

Si tratta di un caso da manuale dell’effetto della distorsione dei tassi di interesse da parte della politica monetaria. La compressione artificiale degli stessi genera una compressione altrettanto artificiale dei premi per il rischio di credito, incentivando il ricorso a dosi massicce di debito che, finché i relativi costi restano eccezionalmente bassi, rendono apparentemente sostenibile (quando non proprio profittevole) anche un investimento che avrebbe un valore attuale netto negativo in assenza di tutte quelle distorsioni. Al tempo stesso, si creano rialzi sui prezzi delle attività reali, come il petrolio.

In condizioni come queste, la solvibilità di un’azienda è, in sostanza, artificiale. Basta un piccolo cambiamento nelle condizioni che sorreggono il castello di carte per fare implodere tutta la struttura. Nel caso in questione, i tassi di interesse sono ancora mantenuti artificialmente bassi, ma il crollo dei prezzi del petrolio (e la forte riduzione anche di quelli del gas naturale) a fronte di un brusco calo della domanda per effetto dei blocchi delle attività produttive dovuti al Covid-19 è stato letale.

Ora i creditori dovranno accontentarsi di recuperare solo una (piccola) parte di quanto avevano prestato alla società, magari trasformando i crediti in azioni.

Doug Lower, amministratore delegato di Chesapeake Energy, assicura: “Stiamo resettando la struttura del capitale e il business di Chesapeake, per correggere la debolezza finanziaria che abbiamo ereditato e capitalizzare sulla nostra notevole forza operativa.”

Sarà pure vero, forse, ma tutto quel settore ha una struttura del passivo pesantemente basata sul debito, condizione tipica delle attività dalla marginalità lorda molto bassa. Non credo ci sia da essere molto ottimisti.

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