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Tassa minima, demenza massima

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di MATTEO CORSINI

Periodicamente vengono pubblicati studi condotti da pensatoi, tipicamente sinistrorsi, volti a denunciare il basso carico fiscale di questa o quella società o settore. Si tratta di imprese che operano a livello multinazionale e che realizzano (almeno fiscalmente parlando) fette più o meno consistenti di profitti in Paesi in cui lo Stato ha pretese meno esose di quelli in cui hanno la sede principale.

Il pensatoio di turno è Eu Tax Observatory, un laboratorio di ricerca indipendente finanziato dall’Ecole d’economie di Parigi e dalla Commissione europea (soldi dei contribuenti, ndr). Considerando le fonti di finanziamento, ognuno può farsi un’idea della reale indipendenza. A me pare, piuttosto, che vi sia convergenza di opinioni, a priori, tra ricercatori e finanziatori. Nulla di male in generale, se non fosse che la Commissione europea non si occupa di questioni del tutto estranee dalle faccende fiscali, e che la maggior voce in capitolo appartiene ai governi espressione di Stati a fiscalità non leggera.

Ciò premesso, lo studio riguarda le banche europee. Le 36 maggiori banche del Vecchio continente, stando allo studio, realizzerebbero mediamente 20 miliardi di utili in “rifugi fiscali”, ossia Paesi con tassazione inferiore al 15%. Per questo gli autori invocanoiniziative più ambiziose, a partire a partire dalla tassa minima globale del 25%”.

A prescindere da ciò che uno pensi della tassazione in generale, ciò che accomuna gran parte di questi studi sono le deduzioni in merito al gettito recuperabile. Lo studio riporta un incremento di gettito di 10 miliardi in caso di adozione della tassa minima globale del 25%.

Il problema è che la quantità di profitti realizzati non è del tutto indipendente dalla tassazione applicata, per cui non è sufficiente applicare una aliquota maggiorata agli utili già realizzati in un regime fiscale più leggero per quantificare le maggiori risorse che avrebbero a disposizione gli Stati per fare (altra) spesa pubblica.

Si tratta, a dire il vero, dello schema mentale tipicamente socialista in base al quale la produzione di ricchezza sarebbe indipendente dalla redistribuzione ex post operata per via fiscale. Basta il buon senso, senza avere pretese di precisione al centesimo, per rendersi conto che le cose non possono stare così. Eppure questo schema perpetua se stesso da secoli ormai. Il tutto in nome dell’indipendenza (dall’uso del cervello?).

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