mercoledì, Dicembre 4, 2024
5.8 C
Milano

Fondatori: Gilberto Oneto, Leonardo Facco, Gianluca Marchi

Veneto, chi aspira a qualcosa di diverso è orfano di una élite

Da leggere

di ENZO TRENTIN

Qualsiasi forma di governo (monarchico, oligarchico, democratico) si basa su un’élite. L’élite esprime una linea politica di medio-lungo termine, sceglie il modello di sviluppo economico, stabilisce persino ciò che è buono e bello. Il popolo si può definire come uno “strumento al servizio dell’élite”, che teoricamente avrebbe interesse al benessere delle masse non soltanto per “usarle” nello scontro contro le altre élite, ma anche per conservare il potere. Nulla vieta, infatti, che in seno al popolo si formi “una nuova élite” che, sfruttando le debolezze della precedente, si lanci alla conquista del potere.

Data l’inclinazione di tutte le élite a conservare e consolidare il potere anche a costo di ridurre gli spazi di libertà individuale dei cittadini, una saggia pratica che il popolo può frequentare, è l’esercizio della democrazia diretta. In Europa i cittadini si recano alle urne per prendere decisioni politiche principalmente per mezzo dei referendum. Nell’ultimo mezzo secolo (a parte la Svizzera, dove l’esercizio è più frequente), agli elettori – per esempio – di quasi 30 Paesi è stato chiesto oltre 60 volte di dire sì o no a “più” Europa. Nel frattempo, proseguono gli sforzi per istituire un referendum paneuropeo.

L’Italia è l’unico grande Paese europeo storicamente carente di un’élite degna di questo nome. I piemontesi smisero di costituire l’ossatura dello Stato con la fine del periodo liberale; il fascismo affiancò ai (modesti) capitani d’industria del Nord Italia una struttura amministrativa basata sull’IRI; dal matrimonio partecipate statali-Democrazia Cristiana uscì l’ultima élite italiana, poi spazzata via da Tangentopoli. L’Italia è senza una classe dirigente da circa 30 anni, tanto che la FIAT (dopo decenni di provvedimenti statali a suo beneficio) ha potuto trasferire nel 2014 la sede fiscale e operativa all’estero senza sollevare nessuna protesta: impensabile per qualsiasi Paese europeo dotato di un’élite nazionale. In Italia c’è solo un popolo, amministrato a piacimento da un’élite che sta oltre Oceano.

A maggior ragione coloro che in Veneto vorrebbero rappresentare l’élite autonomista, federalista e indipendentista, altro non sono che delle scialbe comparse. Costoro non solo accettano supinamente di esercitarsi con i referendum consultivi, che altro non sono se non un furto di democrazia; si gingillano anche nella ricerca di un consenso elettorale che permetta loro di entrare nelle istituzioni italiane con la pretesa di trasformarle “dal di dentro”, bellamente ignorando gli insuccessi delle centinaia di rappresentanti sedicenti autonomisti, federalisti e indipendentisti che li hanno preceduti negli ultimi 40 anni circa.

Al contrario in Svizzera gli elettori sono chiamati ad esprimersi, per esempio, il prossimo 27 settembre su un’iniziativa popolare dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), che chiede di porre fine alla libera circolazione delle persone con i paesi membri dell’UE. Le immagini di propaganda politica impiegate in vista di questo voto sono crude come al solito.

Alle votazioni federali del 27 settembre, il popolo svizzero dovrà anche esprimersi sull’acquisto di nuovi aerei da combattimento, per i quali la Confederazione prevede un credito massimo di 6 miliardi di franchi. Qui è opportuno osservare che la Confederazione paga solitamente un prezzo elevato quando acquista degli aerei da combattimento. Ad esempio, per dotarsi degli F/A-18 ha versato quasi lo stesso importo della Finlandia, ma ha ottenuto soltanto la metà dei velivoli. Il paragone internazionale ha però dei limiti: si sottovaluta quasi sempre l’esatto contenuto dei contratti di acquisto.

La maggior parte dei Paesi occidentali che non dispongono di adeguata protezione a causa della mancanza di mezzi, è poi obbligata a fare ricorso alla NATO per assicurare la sicurezza aerea, per nulla gratuita, in quanto esige delle contropartite. Questi Paesi devono, ad esempio, inviare delle truppe un po’ ovunque quando necessario.

Di converso la soluzione della CH si trova negli ordini compensativi. Ovvero il denaro che la Svizzera spende nei Paesi fabbricanti deve tornare indietro. Berna impegna i produttori e i governi degli stessi ad affidare incarichi all’industria svizzera. Le difficoltà naturalmente non mancano. In gergo si chiamano offset e sono uno dei temi ricorrenti nella campagna referendaria pro o contro l’acquisto. I risultati delle esperienze passate in materia di partecipazioni industriali sono stati altalenanti.

Insomma, io CH ti acquisto YX aerei per XX miliardi di franchi e tu – venditore – mi garantisci di firmare contratti per un importo equivalente con aziende svizzere. Così si può riassumere in maniera forse un po’ semplicistica l’accordo che la Confederazione sottoscrive generalmente con il costruttore. Queste pratiche – chiamate compensazioni, partecipazioni industriali, contropartite, offset – sono prassi corrente nell’industria della difesa.

Ogni Stato ha le sue norme, ma rari sono quelli che non prevedono questo genere di imposizioni quando acquistano materiale bellico da un altro paese. La Svizzera, ad esempio, esige una compensazione pari appunto al 100%. L’Italia, invece, a fronte dell’acquisto dei sofisticati aerei F-35, ha a suo tempo ottenuto l’istituzione d’una officina a Cameri (NO) che avrebbe dovuto servire alla manutenzione di questi caccia multiruolo monoposto di 5ª generazione appartenenti a tutti gli alleati europei; ma poiché per questioni economico-politiche il numero di aerei da acquistare è stato ridotto, l’officina di cui sopra ha visto ridursi le mansioni e la clientela.

Naturalmente abbiamo sfrondato non poco la questione, ma basta constatare gli inciampi e le delusioni lungo la Via della seta, ovvero il Memorandum Italia-Cina [VEDI QUI] sottoscritto dal Ministro degli esteri Luigi Di Maio, per avere la misura dell’inadeguatezza italiana.

A maggior ragione c’è da essere dubbiosi sull’idoneità di quei candidati veneti che chiedono il voto per entrare in Regione Veneto con l’argomentazione del residuo fiscale. Ovvero per la dichiarata aspirazione di voler (loro) spendere in loco il gettito delle imposizioni, senza minimamente produrre delle credibili proposte per riformare il sistema tributario.

Correlati

3 COMMENTS

  1. Il residuo fiscale è parte importante della oppressione italiana. Se gli aspiranti “chissà che” non vedono l’ora di mettergli sopra le sgrinfie, per menare una ricca polenta di spesa pubblica, significherebbe essere soggetti alla stessa oppressione continuata, questa volta di veneti sui veneti.
    Le imposte sul reddito e molte altre patrimoniali vanno semplicemente abolite. Punto. Ciao ciao residuo.
    Visto che coi fichi secchi né ci si sposa né si governano spese idiote, con le sole tasse indirette all’osso si evita solo che paradogi in pectore facciano ancora gli stessi guai come d’usanza nell’italica sciagura. Avanzerebbero in tasca alla gente le risorse per pagarsi il resto ricorrendo a mutue, consorzi, assicurazioni private e volontarie. Sempre che prima si possa disporre di una struttura giuridica sulla quale appoggiare un sistema finanziario indipendente, molto meglio se a riserva intera. Altrimenti ciccia. Ma nessuno ha voglia di mettere le cose in fila, ed allora….buon vuoto, cioè, buon voto a tutti.

    • …purtroppo invece dopo il plebiscito per l’INDIPENDENZA del 2014 risultato vincente secondo tutti gli ordinamenti vigenti ci siamo rimessi al pronunciamento europeo, sicuramente sbagliando…perche’ e’ ancora li’ che giace su qualche scrivania… era meglio che chiedessimo l’appoggio di qualche potenza extraeuropea, USA o URSS… il che non e’ detto che non lo si possa ancora fare, vista la bagarre inconcludente degli arrivismi di oggi che sfruttano l’idea indipendentista come specchietto delle allodole per andarsi a piazzare su qualche poltroncina del prossimo consiglio regionale… Ci resta di fare ora il tifo per altri popoli che aspirano a sciogliere le catene centraliste…catalani o scozzesi e altri della vecchia Europa… saremmo un’altra forza per un’altra Europa…dei Popoli, non degli Stati!… e sarebbe ora!

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Articoli recenti