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Chi parla di indipendenza e chi dei casamonica. a ciascuno il suo destino…

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di GIANLUCA MARCHI

vespa casamonicaOggi, 11 settembre, si celebra la Diada, la festa con la quale Barcellona e la Catalogna ricordano la perdita della loro indipendenza, avvenuta 301 anni orsono, La celebrazione, che negli ultimi anni mobilita fra il milione e mezzo e i due milioni di catalani fieri della loro specificità e desiderosi di riconquistare l’indipendenza, avviene a poco più di due settimane da un appuntamento elettorale cruciale per la Catalogna. E forse non solo per essa. Come i lettori del MiglioVerde sanno, il 27 settembre si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento catalano. Elezioni anticipate che il presidente della Generalitat Artur Mas, e i suoi alleati, hanno convocato con l’obiettivo dichiarato di trasformarle in un plebiscito pro o contro l’indipendenza catalana. Siccome lo scorso anno, dopo un estenuate braccio di ferro, le istituzioni spagnole di Madrid impedirono lo svolgimento di un referendum regolare per l’indipendenza, simile a quello svoltosi in precedenza in Scozia, i partiti indipendentisti che negli ultimi anni hanno assicurato la maggioranza a Mas hanno convenuto di andare alle urne con l’obiettivo, se otterranno di nuovo la maggioranza assoluta, di dare il via al processo di indipendenza, che richiederà almeno due anni di tempo per essere condotto in porto.

Secondo l’ultimo sondaggio, pubblicato proprio ieri dal Centro de Investigaciones Sociológicas (CiS), la lista “Junts pel Si”, che ha messo insieme il partito di Mas, CDC, e quello di Oriol Junqueras, ERC, con gli alleati del CUP otterrebbero la maggioranza assoluta dei seggi (68), ma solo il 44% dei voti espressi. Questo è un crinale abbastanza delicato da superare, perché se alla maggioranza assoluta dei rappresentanti in Parlamento si aggiungesse anche quella dei votanti, allora il processo di indipendenza avrebbe più forza, e il governo madrileno di Mariano Rajoy, terrorizzato per quello che sta succedendo a Barcellona, avrebbe più difficoltà ad applicare l’articolo della Costituzione spagnola che prevede la sospensione dell’autonomia di una comunità autonoma (le regioni del regno) in casi di particolare gravità, insomma una sorta di occupazione centralista non militare (almeno per il momento…).

Ai nostri lettori questo giornale darà puntualmente conto delle tappe di avvicinamento al 27 settembre e anche del dopo. Dal punto di vista dell’informazione, invece, è una pia illusione sperare di trovare qualcosa sui media italiani, se non forse negli ultimissimi giorni prima del voto, ma non ne sarei così sicuro. Ha fatto finora eccezione la Gazzetta dello Sport – ed è tutto dire – che ha dedicato una pagina alla questione, con un articolo piuttosto puntuale peraltro, complice il fatto che nella lista indipendentista si è candidato anche Pep Guardiola. Meglio di niente. Ma sarà alquanto difficile incocciare in altro. E se qualcosa verrà scritto o/e mandato in video, attendiamoci di leggere e/o ascoltare il peggio del peggio sull’indipendentismo catalano. L’informazione italica ha altro per la testa: la questione immigrazione che, sia detto chiaramente, è un grossissimo problema, ma nella penisola affrontato in modo manicheo (a seconda delle posizioni politiche e culturali), senza mai scendere nel cuore di una crisi epocale diversa da tutte le altre che hanno provocato finora il fenomeno migratorio dall’Africa verso l’Europa, e ancora la “fondamentale” riforma del Senato elettivo o no, l’euforia per la timida ripresa dei consumi a luglio, dopo cinque anni di sprofondamento, e soprattutto la vicenda dei Casamonica. E mentre rimbambiamo sempre più nell’orgia di stronzate che leggiamo e ascoltiamo, i partiti quatti quatti si imbertano una cinquantina di milioni di euro per dare una sistematina ai loro bilanci disastrati. Alla faccia della fine del finanziamento pubblico alla politica.

In Catalogna leggiamo che molti imprenditori appoggiano e finanziano la proposta indipendentista, consapevoli che un’economia come quella catalana ha tutto da guadagnare dal liberarsi dei lacci e lacciuoli imposti da Madrid e soprattutto della idrovora fiscale centralista. In Italia, invece, a parte quelli che hanno già chiuso baracca e burattini e gli imprenditori con le palle e la testa che proseguono nonostante lo Stato, i cosiddetti grossi, quelli riuniti intorno a Confindustria, aspettano di tornare a ingrassare alla tetta statale. A costoro fa orrore ogni discorso di indipendenza come volano per le migliori economie territoriali oggi schiacciate e asfissiate dallo stato.

Insomma, addì 11 settembre 2015, c’è chi parla di indipendenza e chi dei Casamonica. A ognuno il suo destino. E comincia a consolidarsi in me un dubbio che finora avevo sempre ricacciato indietro come strampalato: che dal 2000 a oggi (badate bene alla data) la presenza sulla scena politica italica di un cosiddetto partito indipendentista e/o secessionista alleato dei partiti centralisti abbia, nuociuto, volutamente o inconsciamente è aspetto che devo ancora approfondire, alla causa in cui noi ancora crediamo. Ne riparleremo…

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