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I prezzi sono una lingua e il mercato una comunità di parlanti

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di PIETRO AGRIESTI

Approfondendo la riflessione sul libero mercato e sul sistema dei prezzi vado sempre più convincendomi che i prezzi sono una lingua e che il mercato possa essere paragonato a una comunità di parlanti.

Non si tratta di tesi mie originali ovviamente, ma di tesi già sostenute da Hayek, Mises, Rothbard e dalla Scuola Austriaca di Economia.

Nel parlare di ordine spontaneo o catallassi e nel cercare di dimostrare che importanti istituzioni umane possono nascere, svilupparsi, crescere, adattarsi, cambiare, aggiornarsi e funzionare in tutta la loro complessità, senza pianificazione statale e interventismo politico, uno degli esempi che tipicamente viene avanzato è quello della lingua.

Se si porta avanti il paragone nel merito, si può arrivare a dire che gli interventi politici sui prezzi, sono veri e propri interventi censori, che ledono la libertà di espressione e di associazione. Non una “semplice” questione economica.

In un saggio che ho tradotto tempo fa, e che mi è sempre rimasto in testa, il grande Richard Ebeling scriveva a proposito di prezzi e libertà di espressione:

  • “Ho spesso pensato che i prezzi di mercato dovrebbero essere protetti da interferenze e violazioni da parte del governo ai sensi del Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Proprio come la libertà di parola e la libertà di stampa sono essenziali per la comunicazione di idee tra persone e consentono loro di esprimerle e condividerle con gli altri, e permettono che tutti traggano guadagno dal fatto che si discuta e si dialoghi su ogni argomento immaginabile, compresa la politica, lo stesso vale per le espressioni e le valutazioni delle persone comunicate agli altri attraverso i prezzi di mercato.”

E poi ancora sui prezzi come pubblica discussione:

  • “[I prezzi] Sono un mezzo necessario ed essenziale affinché moltitudini di persone ampiamente disperse si informino reciprocamente in una forma comunicativa semplice e sintetica di ciò che desiderano come consumatori e del valore relativo che attribuiscono ai vari beni e servizi che potrebbero essere disposte e interessate ad acquistare; e per coloro che stanno sul mercato dal lato dell’offerta, i prezzi consentono di condividere con gli altri informazioni su quelli che considerano i possibili usi e valori, fra loro alternativi, delle risorse e dei servizi di manodopera nelle diverse linee di produzione che potrebbero acquistare, affittare o assumere.
  • Proprio come le persone apprendono e valutano nuove cose sulla base di discussioni e dibattiti continui con le altre persone, su qualsiasi argomento, e nel processo modificano e rivedono le proprie posizioni e prospettive, lo stesso vale ugualmente nel caso della revisione costante e continua dei prezzi nel mercato che riflettono nuove valutazioni su ciò che le persone vorrebbero chiedere e su quali potrebbero essere i costi di produzione per portare tali beni sul mercato entro un certo periodo di tempo.”

E ancora sui prezzi come lingua, universale e di uso quotidiano:

  • “Inoltre, a differenza delle lingue “naturali” che differiscono tra i vari gruppi di persone sparsi in tutto il mondo e che spesso richiedono la complessa “arte” della traduzione, la lingua dei prezzi competitivi del mercato è universale. Nell’arena del mercato globale, la “traduzione” è facile per chiunque attraverso la semplice conversione del valore di una valuta in un’altra come trovata ed espressa sui mercati dei cambi ogni giorno.
  • Mentre gli argomenti sulla filosofia aristotelica o sulla natura dei buchi neri in altri angoli dell’universo hanno il loro valore e la loro importanza, su base giornaliera solo un numero relativamente piccolo di persone si preoccupa e discute questioni relative a questi argomenti e ad altri simili. Certamente, la libertà di parola e di stampa sono essenziali per questi e moltissimi altri argomenti che contano per un numero qualsiasi di persone.
  • Ma il linguaggio dei prezzi del mercato non è solo essenziale, ma cruciale praticamente per tutti, ovunque, tutti i giorni, e senza di esso i bisogni e le esigenze attuali di tutta l’umanità che partecipa alla divisione del lavoro per il mantenimento e il miglioramento materiale e culturale di tutti potrebbero essere irrealizzabili. L’esistenza e la libera formazione dei prezzi va insieme alla conservazione della condizione umana prevalente e al suo miglioramento nel corso del tempo.”

La petizione dei linguisti contro lo schwa

Tutto questo mi è tornato alla mente ascoltando su youtube un video di Yasmina Pani, che non si occupa di economia o di filosofia politica e non è né una liberale classica come Hayek e Mises, né una libertaria anarco capitalista come Rothbard, ma è invece una linguista, un’insegnante di lettere e l’autrice di un blog e di un canale Youtube intitolati “La tua linguista tascabile”.

Recentemente Pani ha fatto un video, piacevolmente polemico, intitolato “La petizione dei linguisti contro lo schwa”. Il video si riferisce a una petizione su Change.org intitolata “Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra” che si oppone all’introduzione dello “schwa” nella nostra lingua e in cui si legge:

«I fautori dello schwa, proposta di una minoranza che pretende di imporre la sua legge a un’intera comunità di parlanti e di scriventi, esortano a sostituire i pronomi personali “lui” e “lei” con “ləi”, e sostengono che le forme inclusive di “direttore” o “pittore, “autore” o “lettore” debbano essere “direttorə” e “pittorə”, autorə” e “lettorə”, sancendo di fatto la morte di “direttrice” e “pittrice”, “autrice” e “lettrice”. Ci sono voluti secoli per arrivare a molti di questi femminili. Nel latino classico “pictrix”, come femminile di “pictor”, non esisteva. Una donna che facesse la pittrice, nell’antica Roma, doveva accontentarsi di perifrasi come “pingendi artifex” (‘artista in campo pittorico’).

C’è anche chi va ben oltre. Gli articoli determinativi “il”, “lo”, “la”, poiché l’italiano antico, in usi che oggi richiedono “il”, poteva prevedere al maschile singolare la variante “lo”, si pretende che convergano sull’unica forma “lə”, e i rispettivi plurali (“i”, “gli”, “le”) che confluiscano in “l3”, col secondo carattere che non è un 3 ma uno schwa lungo. Entrambi i segni, lo schwa e lo schwa lungo, sono perfino finiti in ben 6 verbali redatti da una Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia.

Lo schwa e altri simboli (slash, asterischi, chioccioline, ecc.), oppure specifici suoni (come la “u” in “Caru tuttu”, per “Cari tutti, care tutte”), che si vorrebbe introdurre a modificare l’uso linguistico italiano corrente, non sono motivati da reali richieste di cambiamento. Sono invece il frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell’inclusività».

La petizione è stata firmata da alcuni importanti intellettuali e studiosi italiani. Alcuni nomi sono più che altro conosciuti nel loro settore, ma altri sono famosi anche al vasto pubblico, come Barbero, Cacciari, Celestini, Flores d’Arcais. E fra tutte le altre c’è anche la firma di Yasmina Pani ovviamente.

Le polemiche e le accuse di fascismo

Questa petizione, che è nata in risposta anche al fatto che lo schwa è stato per la prima volta adottato in un documento istituzionale ufficiale del MIUR, ha subito suscitato polemiche e, come è costume della nostra epoca, accuse di fascismo dai peggio buffoni della sinistra progressista, Michela Murgia in testa. La quale d’altronde da quando ha scritto quell’inutile scemenza che è “Istruzioni per diventare fascisti”, in cui ha presentato il suo ridicolo personale “fascistometro”, crede di essere inattaccabile giudice del fascismo altrui.

Ma non voglio soffermarmi troppo sulla miseria umana e intellettuale di questa gente. Dico solo che essere un grande intellettuale progressista evidentemente vuol dire riuscire a parlare del fascismo, cioè di uno Stato autoritario e totalitario, senza praticamente parlare del ruolo dello Stato nella vita delle persone e della società, o nell’economia. Infatti se uno legge il libro della Murgia su come riconoscere i fascisti vede che punta tutto su razzismo, omofobia, sessismo, etc… e praticamente ignora l’economia e il ruolo dello Stato. E quando poi tocca l’economia, vede le cose sottosopra e classifica l’economia fascista come antifascista e il libero mercato come fascista.

E non è un problema solo suo, prova ne sia che il suo demenziale fascistometro non le è valso il pernacchione generale che si sarebbe meritata, ma un invito a pontificare in tutte le trasmissioni. Gli antifascisti in servizio permanente non riconoscono il fascismo nella costruzione di uno Stato sempre più invadente, tendenzialmente totalitario, che non rispetta le libertà individuali e la proprietà privata, e in un’economia corporativa e dirigista. Per loro essere fascisti è maltrattare le donne, i gay e i trans. Per cui – logicamente – se al fascismo metti un arcobaleno diventa antifascismo.

La Murgia è una presuntuosa ignorante, intellettualmente insignificante, non solo quando parla di fascismo, ma anche quando parla di linguistica e femminismo, e tuttavia la devo ringraziare perché così suscita le risposte di Yasmina Pani, che invece sono intelligenti, istruttive e divertenti.

Fatta questa lunga premessa, al di là delle polemiche con la Murgia, nel video Yamina Pani dice sulla lingua delle cose molto interessanti, che proverò a commentare citando le sue parole seguite dai pensieri che mi hanno suscitato:

1-Scienza oggettiva e non ideologica

“La lingua si studia non in base all’ideologia o a come ci svegliamo la mattina, ma in modo rigoroso”, afferma Yasmina Pani. Queste parole mi hanno ricordato la descrizione di Mises in Human Action dell’economia come scienza oggettiva e non ideologica:

  • “Poiché è soggettivista e prende i giudizi di valore dell’uomo che agisce come dati ultimi non aperti a nessun ulteriore esame critico, è indifferente al conflitto di tutti i dogmi e le dottrine etiche di tutte le scuole, è libera da valutazioni e idee e giudizi preconcetti, è universalmente valida e assolutamente e chiaramente umana.”

E ancora:

  • “Un economista indaga se una misura ‘a’ può portare al risultato ‘p’ per il cui raggiungimento è raccomandata, e trova che ‘a’ non porta a ‘p’ ma a ‘g’, un effetto che anche i sostenitori della misura ‘a’ considerano indesiderabile. Se questo economista dichiara il risultato della sua indagine dicendo che ‘a’ è una cattiva misura, non pronuncia un giudizio di valore. Dice semplicemente che dal punto di vista di coloro che mirano all’obiettivo ‘p’, la misura ‘a’ è inappropriata. Questo è il senso in cui gli economisti a favore del libero scambio hanno attaccato il protezionismo. Hanno dimostrato che lil protezionismo non aumenta, come credono i suoi campioni, ma, al contrario, diminuisce la quantità totale di prodotti, ed è quindi un male dal punto di vista di coloro che preferiscono un’offerta più ampia di prodotti ad una più piccola. È in questo senso che gli economisti criticano le politiche dal punto di vista dei fini perseguiti. Se un economista chiama i salari minimi una cattiva politica, ciò che intende è che i suoi effetti sono contrari al fine di coloro che ne raccomandano l’applicazione.”

Tutte cose che, mutatis mutandis, mi sembra si possano tranquillamente applicare anche alla linguistica, che d’altronde studia anch’essa una branca delle azioni umane, quelle volte a comunicare attraverso la lingua orale e scritta, essendo essa:

  • “la scienza che studia sistematicamente il linguaggio umano nella totalità delle sue manifestazioni, e quindi le lingue come istituti storici e sociali, la loro ripartizione, i loro reciproci rapporti, nonché la funzionalità delle singole lingue sotto differenti aspetti (fonetico, sintattico, lessicale, semantico), sia nella struttura con cui si presentano in un determinato momento della loro storia sia nella loro evoluzione attraverso il tempo”.

2-Libertà individuale…

“I singoli atti di parole, cioè i singoli atti linguistici del parlante che si fa gli affari suoi, fa un post su Instagram dove usa lo schwa, sono ovviamente del tutto liberi, nessuno ha mai voluto sanzionare o multare chi usa lo schwa nella propria conversazione privata, e nemmeno chi lo ha usato nei libri o negli articoli di giornale”, sostiene Yasmina Pani.

L’intero discorso di Mises e Rothbard si risolve nel sostenere che non vi devono essere interferenze coercitive nelle libere interazioni pacifiche e volontarie fra gli attori di mercato. Traducendo lo stesso discorso sul piano della linguistica, vedendo nel mercato una comunità di parlanti, potrei dire che nessuno deve entrare nel singolo atto di parola, nel singolo scambio linguistico, così come nessuno deve entrare nella singola transazione economica, per imporre una determinata parola, o un determinato prezzo.

Insomma niente intromissioni politiche nella lingua e nei prezzi: ognuno dovrebbe potersi regolare come vuole… O meglio, come vuole fino a un certo punto.

…e condizionamento reciproco

“La lingua la fanno i parlanti, sì tutto molto bello, ma la questione è un attimino più complessa. Che cosa è la lingua? La lingua è un codice, è un codice condiviso, perché serve per comunicare, quindi si stabilisce un patto, un accordo fra i parlanti, in base al quale tutti quanti cercano di parlare nello stesso modo, in modo tale da essere compresi”, dice Yasmina Pani.

Ciascuno è libero di scrivere e parlare come gli pare, ma se sta cercando di comunicare con gli altri e farsi capire, dovrà sottostare a regole e convenzioni condivise, altrimenti non finirà in galera, ma semplicemente fallirà nel suo intento.

La volontarietà delle azioni crea un condizionamento reciproco tra gli attori, i quali tanto sono liberi, quanto dipendono dalla pari libertà altrui. Questo vale tanto se parliamo di lingua che di prezzi. Se io volessi vendere nella mia panetteria il pane a un milione, o a un centesimo, di euro al chilo, il problema non è che venga la polizia e mi porti in galera, ma sul piano dell’efficacia dei miei mezzi rispetto ai miei fini: nel primo caso fallirò non trovando nessuno che me lo compri e nel secondo fallirò perché lavoro in perdita.

La mia pretesa di farmi dei “prezzi solo miei”, unilaterali, come se il mondo non esistesse, al pari della mia pretesa di farmi delle parole e una lingua solo mia, molto probabilmente mi porterà a fallire i miei obiettivi, a non riuscire a tenere aperta la mia attività, o a non riuscire a comunicare il mio messaggio.

Allo stesso tempo però non è scritto da nessuna parte esattamente dove sia il limite in un senso e nell’altro. Non ho un modo di sapere esattamente quale sia il prezzo più alto che posso chiedere o quello più basso che posso offrire, e come se non bastasse questi variano in base a una infinità di elementi. Il sistema dei prezzi e il calcolo economico, come la lingua, mi condizionano, ma non mi dettano un corso d’azione preciso e univoco. E difatti imprenditorialità significa innovazione, rischio d’impresa, distruzione creativa e il mercato è un grande processo di scoperta (Hayek).

Così chiaramente nella lingua posso adottare slang, termini di altre lingue o termini dialettali, parlare in modo aulico, o tecnico o ricorrere a modi di dire, etc e persino a volte inventarmi le mie parole e comunque riuscire nel mio intento.

3-La lingua si evolve, ma lo fa spontaneamente

Ancora Yasmina Pani: “La lingua si evolve, quindi chiaramente piano piano alcune cose mutano, senza che i parlanti se ne accorgano [..]  piano piano questo codice si evolve, ma si evolve con l’accordo dei parlanti, non che io mi sveglio la mattina e all’improvviso non esiste più il maschile e mi ritrovo un altro segno che non so cosa significhi”.

Non c’è un limite invalicabile, non c’è un corso d’azione univoco, c’è un processo a cui partecipano moltissimi attori. Attori economici se parliamo di prezzi, parlanti se parliamo di lingua. Nessuno può imporre unilateralmente il mutamento che preferisce, si tratti di prezzi o di lingua. Ma questo non significa che la lingua e i prezzi non mutino.

La lingua, come i prezzi, copre una infinita diversità di situazioni, è flessibile e adattabile, tanto che appena si cambia luogo, persone, contesto, situazione, lei è subito diversa. Ma pur essendo continuamente diversa, è allo stesso tempo anche sufficientemente comune, condivisibile, comprensibile e traducibile da permettere la comunicazione fra innumerevoli persone diversissime fra loro e da saper aderire a una infinità di situazioni reali e di corrispondenti esigenze, sempre diverse e cangianti.

Lingua e prezzi evolvono in questo gioco fra libertà individuale e condizionamento reciproco, potendo, sì, cambiare sotto l’influenza delle preferenze individuali, ma sempre a patto di mantenere la loro efficacia comunicativa. Cioè il processo di evoluzione del sistema dei prezzi e della lingua è condizionato dal dover preservare un sufficiente accordo – l’armonia direbbe forse Bastiat – fra gli attori, per mantenere la sua efficacia, vuoi nel coordinare l’allocazione delle risorse e le scelte economiche, consentendo il calcolo economico, vuoi nel consentire la comunicazione. Deve restare un patto tra i parlanti e evolvere con l’accordo dei parlanti, come dice Yasmina Pani.

4-I problemi sono la mentalità dirigista e l’imposizione autoritaria

“Non che io mi sveglio la mattina e all’improvviso non esiste più il maschile, ok, e mi ritrovo un altro segno che non so cosa significhi. Questa è una violazione del patto e non solo è una violazione del patto, che lo è quando viene fatta da chiunque anche dal comune cittadino, perché in questo caso è stata fatta dallo Stato. […] Non è che è idiosincrasia, ci siamo svegliati una mattina, che brutto lo schwa, non ci piace, quindi facciamo una petizione perché vogliamo toglierlo. [..] Il codice linguistico serve perché per tutti sia chiara la comunicazione…”, sostiene Yasmina Pani

Quando lo Stato vuole imporre lo schwa, o quando una parte della cittadinanza vuole imporre attraverso lo Stato lo schwa, questa è una forzatura, una rottura del patto e dell’accordo fra parlanti, che comprometterebbe il funzionamento della lingua. Proprio come tutte le norme sui prezzi compromettono il funzionamento del libero mercato.

Il problema non è di per sé quindi che la lingua cambi – infatti non usiamo più la lingua del Manzoni e nessuno vuole imporre il ritorno alla lingua de “I promessi sposi” – ma che venga cambiata con un atto d’imperio, in modo coercitivo, attraverso la forza, imponendo il desiderio di alcuni su tutti gli altri.

Si pretende di poter staccare la lingua dalla comunità dei parlanti, così come si pretende di poter staccare i prezzi dalla comunità degli attori economici, e di poter riscrivere a piacimento entrambi, sulla base di scelte politiche. Ma in questo modo si finisce per staccare entrambi dalla realtà.

Se la libertà individuale dei parlanti, come quella degli attori economici, viene conculcata, non siamo più nell’ordine spontaneo del libero mercato, ma in presenza di una concezione dirigista che si traduce in imposizione autoritarie.

5-Fascisti e reazionari

I firmatari di questa petizione sono stati chiamati fascisti e reazionari (parola che a me non dispiace), come se si opponessero a qualsiasi cambiamento per partito preso, o come se il loro intento fosse sostenere l’inferiorità delle donne. Ugualmente i sostenitori del libero mercato vengono costantemente accusati di fascismo, razzismo, omofobia, suprematismo bianco, xenofobia, maschilismo, e chi più ne ha più ne metta. Ma in un caso e nell’altro le loro idee e le loro motivazioni per difendere la lingua e il libero mercato non hanno nulla a che vedere con tutto ciò.

Quali che siano le idee di ciascuno su bianchi e neri, uomini e donne, etero e gay, etc, non è nemmeno pertinente a queste discussioni. Infatti, ad esempio, non c’è una sola parola su alcuna di queste questioni in tutto questo scritto.

Piuttosto, se c’è qualcosa che merita il nome di fascismo non sono le petizioni di chi si oppone all’ingegneria politica sulla società, la lingua e i prezzi, ma la concezione della società, della lingua e dei prezzi, dirigista e autoritaria, che porta avanti chi promuove questi interventi

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1 COMMENT

  1. Non solo sono veri fascisti gli interventisti in economia ma anche quelli in linguistica. All’epoca del fascismo mussoliniano era vietato dare del “lei” perché bisognava dare del “voi”; era vietato dire “democratico” perché bisognava dire “plutocratico”; i nomi di Louis Armstrong e Benny Goodman dovevano essere pronunciati come Luigi Braccioforte e Beniamino Buonuomo. In merito lasciamo immaginare a chi legge quante risate provocarono le proposte satiriche di cambiare il termine “ciambellano” in un aver bello qualcos’altro. L’imposizione di un nuovo linguaggio è fascismo allo stato puro e il voler agire sul linguaggio in modo coercitivo anche ai giorni nostri, dimostra l’assimilazione di questi aspiranti totalitaristi al fascismo. Così come altrettanto fasciste sono le manifestazioni di intolleranza nei confronti di chi si oppone alla prepotenza linguistica, tipo quella di dare del fascista all’antifascista solo perché non vuole sottostare alle sue illegittime pretese. Fascismo è sinonimo d’intolleranza in tutte le aree geografiche, non solo nelle zone salentine e lucane. Se mi si chiede il perché della citazione di queste zone, ho la risposta facile: è lì che si trovano le… Murge.

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