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Il capitalismo è la soluzione, non il problema

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di GUGLIELMO PIOMBINI

Autori come Schumpeter, Mises, Hayek, Nozick e Hollander hanno affrontato un enigma che rimane ancora misterioso: come si spiega la diffusissima avversione della classe intellettuale per il capitalismo, malgrado tutti i suoi immensi successi, e la sua attrazione inestirpabile per il socialismo, malgrado i suoi continui fallimenti? Eppure, almeno in teoria, la classe intellettuale dovrebbe avere un’attitudine critica, e accettare il responso della realtà anche quando non collima con la propria fede ideologica.

Secondo Nozick il disprezzo degli intellettuali per il capitalismo nasce sui banchi di scuola, dove la bravura intellettuale viene premiata con lodi e bei voti. Quando i ragazzi “brillanti” arrivano al diploma, gli è stato inculcato un senso di maggior valore rispetto ai loro coetanei meno dotati intellettualmente, il che li porta ad aspettarsi che la società in generale operi secondo le stesse norme. Quando si rendono conto che l’economia di mercato non tratta le loro abilità con lo stesso riguardo, ma permette ad alcuni imprenditori di fare molti più soldi dei filosofi, degli scrittori o degli insegnanti, sviluppano sentimenti di frustrazione e risentimento che alimentano l’ostilità al sistema capitalistico.

Di recente lo storico tedesco Rainer Zitelmann, nel suo nuovo libro in uscita in questi giorni intitolato “La forza del capitalismo” (IBL Libri), aggiunge qualche altra interessante considerazione. Il punto centrale, a suo avviso, è che il capitalismo di libero mercato è un ordine economico che emerge spontaneamente dal basso, mentre il socialismo, al contrario, è il risultato di un’elaborazione intellettuale, di un’idea di società ideale che viene imposta coattivamente dall’alto. Dopo aver ideato il sistema a tavolino, i fautori del socialismo cercano di ottenere il potere politico necessario per mettere in pratica le loro idee.

E’ chiaro, osserva Zitelmann, che questo secondo modo di pensare si addice molto di più alla forma mentis degli intellettuali. Poiché si guadagnano da vivere grazie alla loro capacità di pensare e comunicare idee razionali e coerenti, essi sentono una maggiore affinità con un ordine economico artificialmente pianificato e costruito piuttosto che con un ordine che permette lo sviluppo spontaneo e non pianificato. L’idea che le società e le economie funzionino meglio senza l’intervento attivo e la pianificazione è perciò incomprensibile alla maggioranza degli intellettuali.

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