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Il sano realismo di essere “contro lo Stato”

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di MATTEO CORSINI

Recensendo un libro sul supplemento domenicale del Sole 24 Ore, Sebastiano Maffettone scrive, a proposito della distinzione tra neoliberali e ultraliberali (definizione riconducibile a libertari e miniarchici):
“La differenza principale tra neo e ultra liberali consiste nel fatto che i neoliberali accettano e anzi predicano un ruolo attivo dello stato, pur apprezzando la libertà individuale, la libera impresa e il libero mercato. La distinzione, in fondo, più ancora che nel campo dell’economia ha un’origine fondazionale. In sostanza, riguarda l’antropologia filosofica. Là dove i neoliberali sono meno ottimisti degli ultraliberali (termine vago, in verità) sulla bontà della natura umana. E proprio per questo motivo che lo stato deve essere presente, soprattutto nell’ambito della formazione dei giovani, per i neoliberali.”
A mio parere questo argomento, peraltro non originale, non ha alcun senso logico. Dato che anche chi rappresenta lo Stato è umano e non ha capacità sovraumane, non ha senso, a priori, stabilire che sia, per “natura”, più “buono” del resto dell’umanità.
A dirla tutta, i cosiddetti ultraliberali potrebbero individualmente essere anche meno ottimisti dei neoliberali sulla bontà della natura umana (per quanto non statisticamente significativo, io rientro in questo campione). Proprio per questo, però, ha senso rigettare l’idea che qualcuno eserciti potere su tutti gli altri, stabilendo cosa si possa o non si possa fare, o cosa sia obbligatorio fare, andando oltre il mero rispetto del principio di non aggressione.
Tra l’altro, il problema mai risolto dai neoliberali riguarda i limiti all’azione dello Stato, che, all’atto pratico, si sono rivelati tutt’altro che invalicabili. Non c’è quindi nessun ingenuo ottimismo da parte di chi si oppone all’azione statale. Solo (sano) realismo.

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