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Le criptoscemenze dei banchieri centrali

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di MATTEO CORSINI

Non è un mistero che i banchieri centrali non vedano di buon occhio le criptovalute e in particolare il bitcoin. Il motivo è semplice: se queste valute si affermassero come strumento di pagamento oltre che di trading e investimento, la politica monetaria perderebbe potere.

Peraltro è proprio in risposta alle manipolazioni monetarie operate dalle banche centrali che sono state sviluppate le criptovalute. Le stesse banche centrali lavorano da tempo alla introduzione di monete digitali, che peraltro rappresenterebbero le stesse monete fiat attualmente emesse e gestite, semplicemente in una forma diversa.

In una delle sue tante dichiarazioni, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha detto che “le criptovalute come il bitcoin sono molto volatili: pertanto non risultano utili come riserva di valore e non sono garantite da niente.”

Premesso che ciò che è utile lo devono stabilire i singoli utilizzatori di un qualsiasi bene, il passaggio interessante è venuto dopo, quando Powell ha detto che il bitcoin è “più che altro un asset speculativo, essenzialmente un sostituto dell’oro piuttosto che del dollaro.”

Che bitcoin sia stato finora utilizzato da molti come strumento di trading è vero, che per qualcuno possa essere un sostituto dell’oro può essere vero, ma che l’oro non abbia un ruolo come riserva di valore (oltre ad avere avuto per secoli un ruolo come moneta) è smentito dalle stesse banche centrali, che ne possiedono tonnellate tra le loro riserve ufficiali.

Proprio gli Stati Uniti hanno le maggiori riserve auree in valore assoluto (8.133,5 tonnellate). O Powell è in confusione, o vuole fare confusione. Non so cosa sia peggio.

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