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Le “nazioni inesistenti” raccontate in un bell’atlante

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NAZIONI-MIDDLEdi MARIETTO CERNEAZ

Gli indipendentisti dovrebbero fare spallucce quando qualche nazionalista gli dice che il suo paese non esiste e, se del caso, regalare all’interlocutore un libro edito da Rizzoli (prezzo di copertina € 24,90) intitolato “L’Atlante delle nazioni inesistenti”.

L’autore è Nick Middleton, professore di geografia a Oxford e autore di libri di viaggio. Il volume, ci conduce in una magica esplorazione di paesi che, privi di riconoscimento diplomatico o di un seggio alle Nazioni Unite, costituiscono un mondo di confini mobili, leader visionari e popoli dimenticati.

Dalla Crimea al Tibet, dall’ultima colonia africana alla repubblica europea che ha goduto di un solo giorno di indipendenza, i luoghi di questo libro vivono una condizione fluida: hanno una bandiera e un territorio rivendicato, possono essere visitati, ma non sono riconosciuti ufficialmente. Cinquanta cartine geografiche, storie curiose, dati e numeri danno vita a un atlante davvero unico”.

Secondo La Convenzione di Montevideo del 1933, sono tre i requisiti fondamentali di uno Stato moderno: “popolazione stabile, territorio definito e un governo in grado di relazionarsi con la comunità internazionale”.  Caratteristiche esclusive degli Stati presenti sugli Atlanti tradizionali? Niente affatto, almeno secondo l’autore del libro, che nel suo lavoro cita alcuni casi molto noti, come la Repubblica di Cina (Taiwan). Dal 1971 non ha più un posto a sedere all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nonostante sia stata riconosciuta da una ventina di Stati, tra cui anche il Vaticano. “Anche la storia del Tibet è piuttosto conosciuta. Il Tetto del Mondo ha effettivamente avuto status di piena indipendenza dal 1911 per una quarantina di anni, prima di essere annesso alla Repubblica Popolare di Cina nel 1950. Il caso della Groenlandia è forse quello che, attualmente, ha più chance di risolversi positivamente per vie pacifiche. L’isola più grande del Pianeta (l’Australia non è comunemente considerata un’isola, bensì un continente) è anche la meno popolata. Questo però non le ha impedito di ricevere dal governo danese una crescente forma di autonomia, viatico per una possibile prossima indipendenza”.

Dopodiché, esistono realtà molto meno note, come quella della Repubblica di Lakota. 100.000 abitanti al centro degli Stati Uniti d’America che presidiano da secoli le Black Hills. Nel 2007, dopo diversi decenni di proteste legali e un po’ di arrabbiatura, i Sioux di Lakota hanno marciato su Washington, chiedendo formalmente di abbandonare gli Stati Uniti d’America, dopo aver rifiutato un’offerta di circa 600 milioni di dollari di compensazione per i torti subiti dal 1868 a oggi. Ancora: ci sono i regni africani del Barotseland e del Ogoniland hanno dichiarato entrambi unilateralmente, nel 2012, la propria indipendenza rispettivamente da Zambia e Nigeria.

Dall’altra parte del mondo, in Australia, i circa 4000 abitanti della Repubblica di Murrawarri hanno richiesto, nel 2013, alla Regina Elisabetta II, di dimostrare il suo diritto a regnare sulla loro terra. In mancanza di una risposta regale, dopo 21 giorni, la popolazione locale ha interpretato il silenzio come una forma di assenso alle proprie richieste.

Poi, c’è il vecchio continente, dove il caso più conosciuto è quello dell’enclave di Christiania, insieme a quello della Repubblica di Seborga. La prima, a Copenhagen, formalmente è indipendente dal 1971. Vi vivono circa 850 cittadini sotto l’occhio accondiscendente (finora) del governo danese. Una concessione insomma.

Il lavoro del Professor Middleton (come quello di Graziano Graziani, di cui abbiamo scritto qui), al di là del suo valore informativo e didascalico, è interessante perché ci porta a riflettere sul principio di autodeterminazione e sulle normative che risalgono alla convenzione di Montevideo del 1933. “Alcuni microstati di recente fondazione (Atlantium, Elgaland), ad esempio, hanno deliberatamente rinunciato a una propria territorialità, e, un po’ come Narnia, si pongono l’obiettivo di agglomerare i propri aspiranti cittadini attorno ad un ideale comune e degli interessi reciproci.

Una forma di stato d’elezione che, in un’epoca d’identità liquide, potrebbe presto uscire dai romanzi per entrare nelle cronache internazionali”.

Il libro sarebbe piaciuto moltissimo al nostro Gilberto Oneto, l’inventore della Padania!

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