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Omaggio a miglio (4): per l’indipendenza serve una minoranza determinata

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di GIANFRANCESCO RUGGERI

MIGLIO BOSSIOvviamente la possibilità di allearsi non era certo nella visione migliana l’unica via percorribile, con buona frequenza si riviene infatti nel suo pensiero il concetto di minoranza che giuda le rivoluzioni. Al Corriere della Sera nel 1997 dichiara: “intendiamoci bene, io non mi aspetto un movimento corale perché, vede, tutti i movimenti rivoluzionari sono sempre nati da minoranze. Oggi noi riconosciamo che la rivoluzione francese l’hanno fatta i parigini. È stata la Comune di Parigi il motore della Rivoluzione, gli altri sono venuti dietro, più o meno convinti. Lo stesso dovrebbe avvenire per il Nord dell’Italia. Non penso ad un movimento di milioni e milioni di cittadini ma a una minoranza sufficientemente compatta e coerente…”

Di nuovo nel 1998 a Carlo Stagnaro che gli chiede “quali sono le condizioni necessarie perché una comunità possa reclamare l’indipendenza?” Miglio risponde: “la volontà. La volontà della popolazione, di una parte almeno di essa. Non dico della maggioranza, perché le maggioranze sono pecore che seguono la massa. Basterebbe una minoranza decisa che vuole fondare lo Stato padano, e allora la secessione diventa una realtà”.

Insomma in attesa della crisi era necessario preparare una minoranza agguerrita, pronta a cogliere l’occasione! Spesso e volentieri abbiamo invece sentito la Lega dirci che era necessario giungere al 51%, ancora di recente Maroni aveva annunciato che il suo obiettivo era di rendere la Lega il partito “egemone nel nord”, quando in realtà invece di tanti proclami era forse meglio organizzare in questi anni una minoranza compatta, decisa, ma soprattutto preparata, con basi solide che al momento opportuno, la crisi, avrebbe potuto trainare il resto della popolazione, ovvero le pecore che ti consento poi di arrivare ad avere la maggioranza. Tutto ciò è stato fatto? Ognuno può pensarla come vuole, ma le opinioni, come sempre, sono poca cosa al confronto dei fatti e sempre leggendo le interviste di Miglio si trova un fatto concreto che può aiutarci a rispondere al quesito che ho appena posto.

In un’intervista del ’92 Saverio Vertone chiede a Bossi: “che lingua si parlerà nella Repubblica del Nord?” Bossi risponde: “ma che lingua vuole che si parli? L’italiano. Naturalmente l’italiano. Su questa storia dei dialetti abbiamo riflettuto. E siamo arrivati alla conclusione che è meglio soprassedere… La Padania non ha prodotto una lingua comune, come la Catalogna. E allora non resta se non l’italiano, che non è poi da buttar via come lingua”.

Prestate attenzione al pezzo in cui Bossi dice che la Padania non avrebbe prodotto una lingua comune, come la Catalogna, la stessa frase l’ha ripetuta Maroni 20 anni dopo, giusto nel 2012, e la ripetono tutt’ora come un disco rotto anche molte teste d’uovo della media dirigenza leghista. Peccato che nel frattempo Sergio Salvi abbia pubblicato La lingua padana e i suoi dialetti, ove non inventa nulla, ma riassume tutto il pensiero della migliore linguistica internazionale, senza contare che la Catalogna ha le stesse diversità linguistiche che si riscontrano in Padania! Era comprensibile che Bossi dicesse certe cose ad inizi anni ’90, mentre invece è inconcepibile che Maroni le ripeta come nulla fosse 20 anni dopo: è la dimostrazione lampante che non si è minimamente proceduto ad organizzare una valida minoranza che facesse da traino alle pecore della maggioranza!

In effetti anche sulla specifica questione identitaria il professore aveva avuto modo di tracciare la via che poi non è mai stata seguita. Miglio sapeva che, in attesa della crisi, si dovesse preparare la via anche con un certosino lavoro identitario ed in particolare aveva ben chiaro l’esempio del Sud Tirolo dove trascorreva le vacanze estive: “se l’Alto Adige è riuscito a conservare la sua identità, esso deve questo risultato all’impegno con cui le istituzioni culturali locali hanno saputo censire e studiare ogni particolare della loro tradizione, ogni reperto della loro archeologia e della loro storia: nelle vallate del Tirolo meridionale non c’è praticamente sasso che non sia stato inventariato”. Chissà se l’assessora alla cultura Cappellini ha mai letto Miglio? Mah…

Da un’intervista del 1994 si può invece trarre un’indicazione in merito alle tempistiche infatti il professore dichiara: “perciò io ho detto a Bossi: ritirati per due anni sotto la tenda, lascia a me, e ad altri federalisti convinti, dovunque essi siano, di tentare il salto verso la Repubblica federale; e se noi falliamo per le vie parlamentari, bisognerà tornare alla minaccia della secessione del Nord. E sarà la volta degli agitatori di piazza. Il momento di Bossi”. Insomma due anni di tentativi, non 20 anni di inutili alleanze, che per di più non sembrano ancora finite!

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4 – CONTINUA

 

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