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Visco, il fisco orwelliano e le scorie di vecchie ideologie

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di MATTEO CORSINI

Non è un mistero che, soprattutto durante l’ultimo decennio, banche e altri intermediari siano stati obbligati a fornire al fisco una quantità crescente di dati relativi ai rapporti dei loro clienti. Dapprima dati anagrafici e saldi, poi anche la movimentazione. Il tutto ha alimentato un database che consente al fisco, almeno in linea teorica, di essere una sorta di Grande Fratello orwelliano.

Gli entusiasti della lotta all’evasione fiscale spesso sottovalutano la potenziale portata del fenomeno. Affidandosi in modo abbastanza ovino al motto “male non fare, paura non avere”, non si rendono probabilmente conto del fatto che qualora lo Stato avesse ogni informazione su persone e imprese, il diritto di proprietà diventerebbe inevitabilmente il complemento a uno di quanto lo Stato stesso decidesse di pretendere per sé.

Non è un mistero neppure che tra i principali fautori di questo disegno fiscale orwelliano vi sia l’ex ministro Vincenzo Visco, il quale non si è limitato, negli anni, a inventare forme di tassazione allucinanti (su tutte l’Irap, ma si potrebbero ricordare anche la tassazione sui risultati maturati nel regime del risparmio gestito o, andando più indietro, l’equalizzatore da applicare ai titoli zero coupon), alcune delle quali, fortunatamente, non hanno avuto lunga vita.

Secondo Visco l’ultimo tassello per procedere all’abbattimento dell’evasione fiscale è rappresentato dalla fatturazione elettronica, che vorrebbe estendere sostanzialmente a ogni livello di transazione.

Fatto sta che le fatture elettroniche contengono dati che non sono strettamente necessari ai fini dei controlli fiscali, quanto meno stando ad Antonello Soro, Garante della Privacy, secondo il quale la mole di informazioni è “sproporzionata in uno stato democratico, per quantità e qualità delle informazioni oggetto di trattamento, rispetto al perseguimento del legittimo obiettivo di interesse pubblico di contrasto all’evasione fiscale.” Soro osserva che “annualmente risultano essere emesse circa 2 miliardi di fatture che, di regola, contengono dati, anche molto di dettaglio, volti ad individuare i beni e i servizi ceduti, con la descrizione delle prestazioni, i rapporti fra cedente e cessionario e altri soggetti, riferiti anche a sconti applicati, fidelizzazioni, abitudini di consumo.”

Quindi la cosa appare sproporzionata anche a chi non mette in discussione la tassazione in quanto violazione del diritto di proprietà.

Ovviamente tanto i sindacati, quanto Visco, sono insorti. Secondo l’ex ministro, mentre “i giganti del web agiscono indisturbati sui dati personali di tutti i cittadini, arriva una delibera contro l’introduzione della fattura elettronica che si frappone all’applicazione di una legge dello Stato, taglia le gambe all’azione di contrasto all’evasione fiscale.”

Il fatto che i giganti del web, a prescindere dalle opinioni che uno possa avere su di essi, non risulta abbiano il potere di tassare, pare essere solo un dettaglio insignificante per Visco.

Soro ha definito quelle di Viscoaffermazioni decisamente preoccupanti perché fondate su una scarsa conoscenza del merito e su un’evidente ignoranza delle norme europee”, oltre che basate su una “palese indifferenza al valore dei diritti di libertà, terreno su cui le democrazie liberali si distinguono dai sistemi autoritari.” Concludendo che le parole di Visco sono “segni inequivocabili di scorie indigerite di vecchie ideologie.” Non vedo la necessità di aggiungere altro.

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