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Dopo gli Stati Uniti d’Europa quelli del mondo?

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di MATTEO CORSINI

C’è modo e modo di non essere soddisfatti di ciò che fanno gli Stati. Da un punto di vista libertario, gli Stati sono violatori per antonomasia del principio di non aggressione, con la pretesa di essere legittimati a farlo. L’ideale sarebbe quindi che non ci fossero gli Stati. Trattandosi di una prospettiva attualmente poco realistica, il libertario dovrebbe preferire le situazioni che, pur non essendo ideali, risultano meno peggio.

Anche se non è necessariamente vero in ogni circostanza, le ridotte dimensioni dello Stato tendono a porre condizioni meno opprimenti per chi ha a cuore il rispetto dell’individuo e del principio di non aggressione.

C’è anche un altro modo di considerare le dimensioni degli Stati un motivo di insoddisfazione del loro operato, ed è opposto a quello libertario. In questa seconda prospettiva, gli Stati non sono (mai) sufficientemente grandi per poter “contare” (ossia: dettare legge) a livello mondiale.

E quindi ecco tanti europei essere insoddisfatti degli Stati nazionali e invocare la creazione di un superstato europeo, in grado di avere dimensioni simili agli Stati Uniti e di contare di più nei confronti di mega-stati come Cina e India. Lorenzo Marsili, direttore della Fondazione Berggruen, scrive:

  • “Il concetto di “nazione”, agitato dalla nuova destra europea, torna oggi imperante. Ma sarà questa la primavera di un nazionalismo di bottega, manifestazione di Stati oramai alla periferia della Storia, o potrà invece trasformarsi in un nuovo nazionalismo europeo, espressione di un continente che vuole tornare a contare negli affari del mondo?”

La risposta arriva alla fine dell’articolo, ed è “improbabile”. Il che per Marsili è negativo, ma io credo che l’alternativa sarebbe peggio.

A suo dire (e in questo è in buona compagnia) la “piccola dimensione dei nostri Stati li rende particolarmente inadatti a tracciare una rotta indipendente tra sfide planetarie e superpotenze emergenti. Eppure, nonostante una lunga serie di crisi e dunque di opportunità, le élites politiche del continente sono state incapaci di realizzare tale unione. Le ragioni dell’ascesa della nuova destra si trovano qua. Che si tratti dei massicci investimenti necessari ad accompagnare un’equa transizione verde, di una gestione efficace dei flussi migratori, o della ricerca di un nuovo paradigma di sicurezza, non esiste oggi in Europa un singolo attore che possa guidare gli eventi e non esserne guidato. La nuova destra risponde a una richiesta di controllo di fronte a un mondo che ci sfugge di mano.”

A me pare evidente che tra destra e sinistra la differenza sia nel linguaggio, più che nelle azioni concrete. Ci sono alcune differenze, ovviamente, ma l’impostazione di fondo, la visione di fondo del potere è la stessa. Marsili, che evidentemente non è di destra, vorrebbe che il nazionalismo fosse spostato a livello europeo. Il che a me pare perfino contraddittorio se si ritiene che faccia male il nazionalismo su scala minore.

Per di più, quanto tempo passerà prima che ci si renda conto che la scala continentale è comunque insufficiente? A quel punto si invocherà un governo globale? Con quali prospettive per chi non fosse d’accordo con chi detiene il potere?

In ultima analisi, credo che la differenza di fondo sia tra chi crede nella libertà e nelle interazioni volontarie tra individui o gruppi di individui, e chi ritiene che alcuni individui o gruppi di individui debbano “guidare” tutti gli altri. E gli altri da guidare non sono mai abbastanza.

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