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Nepal, federalismo etnico e conflitti. cina: uiguri tra indipendenza e islam

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nepaldi REDAZIONE

A dispetto delle preghiere e delle esortazioni di decine di migliaia di cittadini, l’Assemblea costituente del Nepal ieri non è riuscita a raggiungere un accordo sulla bozza della prima Costituzione nazionale democratica, dopo secoli di monarchia assoluta indù. Governo e istituzioni provano a rassicurare la comunità internazionale, affermando che presto sarà risolto il contenzioso e il Paese potrà ratificare la prima Carta. Ma le divisioni fra maggioranza e opposizioni, al momento, restano profonde su alcuni elementi chiave. 

All’indomani della mancata ratifica di un testo base i partiti si scambiamo accuse e si rimpallano le responsabilità. 

KP Oli, presidente dell’UML, nella maggioranza di governo, punta il dito contro i maoisti che “insistono su un federalismo di base etnica”, che “non è sostenibile”. Una simile suddivisione,  avverte l’UML, sarebbe foriera di “conflitti disastrosi”; fino a quando vi saranno “dei maoisti” in seno alla Costituente “vi sono poche probabilità di trovare un accordo”. 

Sul fronte maoista interviene l’ex premier Baburam Bhattarai, secondo cui la maggioranza “viola i patti” alla base dell’Assemblea costituente e “nega l’identità e il rispetto delle decine di gruppi minoritari”. “La nuova Costituzione – afferma il leader maoista – deve riconoscere l’identità di questi gruppi di minoranza e rispettare la loro dignità e i diritti”. 

Se il tema del federalismo su base etnica è fonte di divisioni, sembra invece raggiunto un consenso di base sul sistema misto per governo e legge elettorale, oltre che per la regolamentazione del versante giudiziario. Altri elementi imprescindibili la forma repubblicana e il principio della laicità dello Stato. 

Preoccupati per l’andamento dei lavori, i vertici della Chiesa nepalese pregano per un accordo. Il vicario apostolico mons. Paul Simick conferma che “tutta la comunità prega perché sia presto promulgata una costituzione laica e democratica”. È ora di mettere fine alla “transizione” e muoversi in direzione “della pace e della prosperità”. Il vescovo evangelico Narayan Sharma si augura che “siano rispettate tutte le fedi” e “tutti i gruppi”, e che ogni cittadino possa godere dei diritti umani e civili “riconosciuti sul piano internazionale”. 

Dopo oltre 240 anni di monarchia assoluta indù, nel 2007 il Nepal è diventato uno Stato laico. La costituzione provvisoria, approvata sotto la supervisione dell’Onu, vieta il proselitismo, ma consente a tutti i cittadini di manifestare la propria fede, anche con attività missionarie e caritatevoli. L’instabilità politica ed economica degli ultimi anni – legata alle lotte per il potere fra i partiti laici – ha rafforzato i movimenti indù filo-monarchici, che in tutti i modi hanno tentato di frenare l’aumento delle conversioni avvenuto dalla fine del regno. (Agenzia AsiaNews)

GAUI A CHIAMARLI CINESI E PARTONO PER LA JIHAD IN SIRIA

UIGURIPartono in massa per raggiungere lo Stato Islamico e vorrebbero l’indipendenza del proprio territorio. Vengono dalla regione autonoma dello Xinjiang, ma guai a chiamarli cinesi: sono gli uiguri delTurkestan Orientale, oggi nel pieno di una vera e propria diaspora.

Ogni mese partono a centinaia e si uniscono ai gruppi armati del jihad siriano. Altri ancora si fermano in Turchia. Il loro esodo è alimentato dalle recenti escalation di violenza autoctone. Infatti, dall’arresto a settembre di Ilham Tohti, professore uiguro processato per separatismo, Pechino non ha smesso di reprimere la popolazione musulmana dello Xinjiang con arresti sistematici, violazioni dei diritti umani e censure sui media.

Se il loro afflusso in Iraq e Siria passa inosservato inserendosi in un contesto generale di  mujahedin provenienti dai quattro angoli della Terra, è in Turchia che la loro presenza si fa sentire di più, specialmente nelle province di Konya, Kayseri e Bursa. Qui, infatti, i vari partiti hanno inserito la questione uigura in cima alla lista del dibattito politico. L’ AKP (“Partito Giustizia e Sviluppo”) si è mostrato scaltro nel volgere a proprio favore il tema dell’immigrazione uigura, utilizzandolo per alimentare la sua dialettica nazionalista. Eppure alcuni membri del partito vedono nella questione uigura un’opportunità per rafforzare le relazioni con la Cina. Secondo Ergun Diler del quotidiano Takvim, infatti, ci sarebbe lo zampino degli Stati Uniti dietro l’esodo uiguro, strategicamente sostenuto dagli americani per minare il rapporto sino-turco.

Ma l’emigrazione di massa non è il solo risultato del clima politico interno allo Xinjiang: una ventata di salafismo, infatti, si è abbattuta sulla regione autonoma cinese, quasi interamente di fede islamica. Proprio dalla Turchia, come spiega Radia Kadir, presidente del Congresso Mondiale degli Uiguri, alcune cellule islamiste dirigono la propaganda estremista nel Turkestan Orientale, oltre che facilitare il passaggio verso la Siria agli uiguri. Lo Xinjiang, inoltre, è sede dell’ ETIM (East Turkestan Islamic Movement), un gruppo fondamentalista che chiede l’indipendenza della regione. Designato come organizzazione terrorista da Pechino, il collettivo ha visto crescere esponenzialmente la sua membership negli ultimi mesi.

Xinjiang, letteralmente, significa “terra di nuova conquista”. Gli uiguri fanno risalire le proprie origine a una popolazione turcica dell’ Asia centrale, e la loro lingua è tuttora scritta in caratteri arabi. L’Islam è parte integrante della loro vita: in particolare, hanno assunto molti precetti religiosi dall’interpretazione di al-Maturidi, un teologo islamico che visse a Samarcanda nel nono secolo. La sua scuola è riconosciuta essere fra le più pacifiche e tolleranti dell’Islam: molto lontana, insomma,dalle recenti deviazioni salafite. (Marco Arnaboldi ISPI)

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