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Peggio delle regole sbagliate c’è l’applicazione del formalismo

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paschidi MATTEO CORSINI

“Nella vicenda Mps abbiamo assistito al venir meno della profilatura Mifid: dopo una lunga fase di riflessione, la Consob ha infatti dato il via libera alla conversione in azioni dei bond subordinati. Al di là di tutte le considerazioni del caso e dell’utilità o meno che una decisione del genere possa avere, anche per gli stessi investitori, una domanda sorge spontanea. Qual è il confine delle regole? Devono valere sempre e comunque oppure no? Questo, infatti, potrebbe essere un precedente che apre la strada a scelte analoghe in futuro”. Così, ha scritto Isabella Della Valle. Ai non addetti ai lavori l’argomento che tratto oggi potrà sembrare noioso, ma credo serva a mettere in evidenza la mentalità burocratica e formalistica che prevale (troppo) spesso in Italia, non solo tra i burocrati di professione.

Sul Sole 24Ore non hanno sollevato particolari dubbi sulla correttezza di certe affermazioni di Renzi e Padoan, che fino a pochi giorni prima della (di fatto) nazionalizzazione del Monte dei Paschi di Siena andavano in giro ripetendo che la banca avrebbe trovato sul mercato i soldi necessari alla ricapitalizzazione e che si trattava di un affare. Delle due l’una: o si dà per scontato che le affermazioni del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia non sono credibili, oppure si dovrebbe quanto meno chiedersi se tali affermazioni non abbiano esse stesse causato danni agli investitori, soprattutto nella accezione del “piccolo risparmiatore”, che Plus24 del Sole 24 Ore pare voler tutelare come se fosse una razza a rischio estinzione o un soggetto incapace di intendere e di volere.

In entrambi i casi si dovrebbe segnalare ai lettori che le affermazioni riportate sono (o, se si preferisce essere prudenti, potrebbero essere) inattendibili e fuorvianti, una sorta di pubblicità ingannevole come quella praticata da tanti televenditori nelle emittenti locali.

Ciò detto, la questione della profilatura Mifid riguarda le informazioni che l’intermediario deve raccogliere dall’investitore in merito alle sue conoscenze ed esperienze e, limitatamente ai servizi di consulenza e di gestione di portafoglio, alla sua situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento. Tali informazioni dovrebbero servire all’intermediario per consigliare prodotti finanziari adeguati al profilo di rischio del cliente. E qui emerge il problema dei problemi: perdere soldi non piace a nessuno, per cui generalmente un individuo si dichiara ex ante disponibile a tollerare certe perdite potenziali, salvo poi scoprirsi del tutto intollerante se la perdita si materializza.

Nel caso di cui si occupa Isabella della Valle, MPS ha effettuato una offerta di scambio ai possessori di obbligazioni subordinate, aderendo alla quale sarebbero diventati azionisti. L’offerta faceva parte dell’operazione di ricapitalizzazione, poi fallita. In un primo momento la Consob aveva di fatto vietato l’adesione a tutti quei risparmiatori per i quali l’investimento in azioni MPS fosse risultato inadeguato in quanto troppo rischioso. Successivamente, nel secondo tentativo di far arrivare in porto la ricapitalizzazione, Consob ha deciso di consentire l’adesione anche ai risparmiatori che esprimessero la volontà di farlo, a prescindere dal profilo Mifid.

Io trovavo assurda la prima decisione di Consob, mentre gran parte della stampa (tra cui il giornale confindustriale) ha lamentato l’inversione di marcia successiva, che avrebbe tolto protezione ai risparmiatori.

Il fatto è che l’alternativa allo scambio volontario sarebbe stata la conversione obbligatoria (tra l’altro a condizioni non certo migliori) nell’ambito di una procedura di risoluzione o anche nel caso, poi concretizzatosi, di ricapitalizzazione precauzionale (un eufemismo da usare per non parlare di nazionalizzazione). In pratica, il risparmiatore in possesso di obbligazioni subordinate MPS aveva già un titolo ad alto rischio (in sostanza, aveva già perso gran parte dei soldi investiti), per cui lo scambio con azioni non avrebbe peggiorato la sua situazione, mentre le cose sarebbero molto probabilmente peggiorate nel caso gli fosse stato vietato di aderire allo scambio.

Quanto alla rischiosità delle obbligazioni subordinate, molto probabilmente una parte dei risparmiatori non ne era al corrente fin dall’origine, ma è indubbio che essa sia intrinsecamente aumentata (a prescindere dal caso specifico) a seguito dell’introduzione della direttiva BRRD (quella che, tra le altre cose, prevede il bail-in, o salvataggio interno, in caso di crisi di una banca). Direttiva approvata nel 2014, con effetti retroattivi su titoli collocati anche in precedenza.

E qui sorge un altro problema. A quel punto cosa avrebbero dovuto fare le banche: suggerire a tutti i loro clienti possessori di obbligazioni subordinate di venderle? Il problema non è solo di conflitto di interessi, bensì di norme di vigilanza. Considerando che gran parte di quei titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, a dare loro liquidità avrebbero dovuto essere gli emittenti stessi. Generalmente lo fanno per le obbligazioni senior, ma nel caso delle subordinate possono farlo solo se autorizzate dalla Banca d’Italia, ed entro determinati limiti. Negli ultimi anni generalmente la Banca d’Italia ha autorizzato riacquisti di subordinati solo se la banca emittente li avesse sostituiti con altre subordinate o con capitale. Di fatto, i riacquisti erano spesso impossibili.

Dunque, “qual è il confine delle regole?” Credo si tratti di regole spesso poco sensate, se poi le si applica anche in modo formalistico senza valutarne le conseguenze sono destinate a fare ancor più danni.

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