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Indipendenza e liberalismo, la speranza che non restino pie illusioni

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unione-secessionedi ENZO TRENTIN

Nei giorni più cupi del nostro presente, dove la coscienza e la morale di questo Paese toccano il loro punto più basso, un’analisi anche sommaria degli avvenimenti non basta a rendere evidente l’inadeguatezza – per non dire il danno – dei partiti politici.

Certo, è possibile affliggersi del silenzio – quando non dell’attitudine ambigua – di coloro i quali, nei decenni scorsi, erano considerati alla stregua di maestri d’intelligenza: oggi il loro coraggio non si mostra alla stessa altezza. Non ci dicono, per esempio, che i partiti possono essere sostituiti con «organizzazioni single issue» [per singola questione], in grado di riunire i propri aderenti su obiettivi specifici e destinate a sciogliersi una volta raggiunto lo scopo prefissato.

Gli iscritti alle «organizzazioni single issue» – secondo Moshei Ostrogorski che per primo ne prefigurò la creazione intorno al 1908 – sarebbero così affrancati dall’esigenza di assicurare una fedeltà irrazionale ed eterna al partito ed al suo leader; verrebbe meno anche l’oppressione di una struttura organizzativa votata alla conquista del potere, innanzitutto attraverso il ricorso alla corruzione ed al clientelismo.

Anche se non si può sostenere che le «organizzazioni single issue» rappresentino un’assoluta «invenzione» del pubblicista russo; una sia pur superficiale considerazione del dibattito americano sui partiti, basterebbe a dimostrare come la sua proposta scaturisse da un ambito problematico per più versi comune a quello della pubblicistica e degli studi che avevano affrontato il tema dei «rimedi» da apportare ai mali della democrazia statunitense.

In particolare, la tesi ostrogorskiana sostiene che il moderno partito politico è una macchina centralizzata al servizio del leader, e della quale il leader non avrebbe potuto fare a meno per raggiungere i suoi scopi. La conferma recente di tale tesi la si trova facilmente nella parabola di Umberto Bossi e della Lega Nord, con la totale alienazione del gruppo al capo.

L’influenza che Moshei Ostrogorski ha esercitato su Max Weber per l’elaborazione della sua teoria del partito politico è altrettanto palese. Grazie a quest’opera, Weber è ricordato tra i pionieri della sociologia politica, e ciò essenzialmente in virtù dell’analisi disincantata sulla base della quale, dopo aver investigato i meccanismi di funzionamento dei grandi partiti di massa, denunciò l’esistenza di un’inesorabile «legge ferrea dell’oligarchia», responsabile, in ultima analisi, della formazione di una ristretta minoranza di potere all’interno di ogni associazione umana. La sua attenzione, infatti, si concentra non tanto sulla più evidente critica al partito politico ed alle sue degenerazioni, quanto sulla complessiva proposta istituzionale che Ostrogorski aveva posto in campo a sostegno della richiesta di sostituire i partiti permanenti con organizzazioni temporanee.

venetipartitiIl nostro radicalismo nel superare l’organizzazione partito con «organizzazioni single issue» – in mancanza di meglio – ha come solido perno la Repubblica italiana, che si agita di scoglio in scoglio come una boa ubriaca. Se giorni migliori di quelli che viviamo sono destinati a tornare attraverso l’indipendenza, possiamo essere certi che saremo liberati da quei partiti che ormai sono privi di senso. Il gioco delle istituzioni che nessuno ha osato affrontare con il dovuto rigore ha riportato al potere la maggior parte degli uomini privi dell’agire con la diligenza del buon padre di famiglia, ed ha premiato i più screditati. E del resto il ruolo dei partiti di maggioranza che governano, e quelli di minoranza che controllano, ha mostrato tutti i suoi limiti per messo del consociativismo dispensatore di privilegi a non finire. 

L’intromissione della Chiesa nello Stato da un lato, dall’altro il fatto che l’ultimo travestimento degli ex comunisti ha ripreso teoricamente a loro uso e consumo una buona parte degli slogan della Destra, ha trasformato l’emiciclo parlamentare in qualcosa che potrebbe convenientemente cedere il posto a una rotonda in cui gli antichi estremi sono in comunione, senza peraltro che la cosiddetta res publica ne tragga beneficio. I sinceri indipendentisti, poi, debbono prendere coscienza che la fondazione di uno Stato senza un progetto istituzionale innovativo proposto a priori non aumenta la libertà di un popolo.

Scopo di questo giornale, e di tutti i suoi collaboratori, è cercare di raggiungere, attraverso il potere della parola scritta, un lettore che possa udire, sentire, ed in primo luogo vedere. Questo e null’altro, ed è tutto. Sarebbe bello se questa pubblicazione, con il suo lavoro, favorisse la riunione di tutte le migliori forze operanti nei vari settori dell’indipendentismo e della cultura.

Tante persone diverse che possano fondere modelli intellettuali talvolta discordanti tra loro, sotto la stessa bandiera del federalismo, attraversando ogni stratificazione sociale e creando un unico “potere collettivo” fondato sul giusto bilanciamento tra la rappresentanza e l’esercizio della democrazia diretta. Con intelligenza, rifiutando le mortificazioni della disciplina di partito interpretata con lo spirito di caporalacci ubriacati dal luccichio dei galloni.

Anche in altre nazioni si vivono fasi di sparatorie retoriche tra le diverse parti, ma di là da quello la politica si ritaglia una parte importante, che da noi è più invisibile della faccia nascosta della luna. L’altra parte della politica si chiama “policy”. Una policy è l’analisi pragmatica di un problema e la ricerca di una soluzione. Nei paesi di cultura anglosassone la politica oltre che “politics” è formata da questa parte sommersa, silenziosa, ma viva e salutare per la società. I policy maker lavorano in base a capacità e merito, tra i progressisti come tra i conservatori. Ma, come si dice, più che la parola vale l’esempio.

Questa idea è che non ci può essere né Repubblica, né Democrazia, né Federalismo, né rinnovamento dello Stato, senza la piena affermazione della Sovranità popolare. Autogoverno e partecipazione al governo, sono condizioni comuni, chiavi di accesso al federalismo, ma anche condizioni irrinunciabili della Repubblica e della democrazia. Istintivamente i cittadini sanno che loro sono lo Stato e che in primo luogo esso vive nelle loro famiglie, poi nelle piccole comunità delle quali fanno parte, poi ancora nel loro popolo. Nonostante si sentano oggi impotenti a causa di una concezione arbitraria della politica, essi capiscono che lo Stato può esistere solo in funzione della loro volontà, che giuridicamente è sovranità. Ogni potere, ogni funzione pubblica, senza la loro legittimazione è un arbitrio.

L’ordine politico dello Stato non può derivare dagli accordi e dagli equilibri interni dei partiti. Non potendo per ragioni fin troppo evidenti esercitare sempre direttamente il potere, il corpo sociale ha bisogno di garanzie reali che esso sia sempre subordinato alla sua volontà. Dipendendo da queste garanzie tutta l’azione dello Stato, il destino della comunità, la stabilità delle istituzioni, la correttezza delle informazioni, la vita stessa di una democrazia possibile, esse non possono essere oggetto di delega totale. Come la sovranità del popolo non può essere dogmatica ed assoluta, così essa non può avere alcun potere e sovranità al di sopra di sé.

Da ciò deriva che solo un procedimento democratico che consenta la prevalenza della democrazia diretta rispetto a quella rappresentativa, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di cambiare le regole sul ruolo che deve avere lo Stato nei confronti dei cittadini, rende certa e giustifica la rappresentanza politica che si esprime attraverso il Parlamento.

Finché questi concetti rimangono nascosti nelle contraddizioni della Costituzione attuale o nella verbosità inconcludente e falsa della politica, Democrazia, Repubblica, liberalismo e Federalismo restano illusioni, maschere, dietro le quali si cela la vera sovranità ed il vero potere che – ad esempio – la Costituzione del 1948 ha attribuito al Parlamento gestito dai partiti e dai sindacati, da cui discende un potere che è superiore a quello del popolo. Affermare che la Sovranità appartiene al popolo, e che non può essere né limitata, né disattesa, né violata, e che il popolo deve poter partecipare al suo esercizio (vedasi G.F. Miglio), è perciò il vangelo di tutti i federalisti.

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