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I gattopardi de catalunya e le nostre similitudini

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Catalonia_is_not_spaindi ENZO TRENTIN

Molti indipendentisti del Belpaese guardano alla Catalogna come ad un luogo dal quale trarre esempio ed ispirazione. Noi, oggi, vorremmo proporre una diversa interpretazione dei fatti. Lo faremo per mezzo di una conversazione con Roberto S. un giornalista veneto (che vuole godersi serenamente l’anonimato visto che oggi è in pensione)   trasferitosi a Barcellona da oltre 27 anni.

Domanda: Com’è che ha deciso di trasferirsi a Barcellona?

Risposta: Come per tutte le cose è stata una decisione maturata gradualmente. Era all’incirca il 1984/5. Uno dei primi giornalisti investigativi catalani giunse a Vicenza sulle tracce di un “disinvolto” politico catalano che intratteneva rapporti d’affari con alcune imprese dell’Ovest vicentino. Dopo aver bussato inutilmente a varie porte, qualcuno che conosceva la mia lunga esperienza politico-giornalistica ed il mio impegno civico, lo indirizzò a me. Io, da indigène, lo orientai. Ne nacque un libro. Il politico in questione fu costretto a dimettersi. Non si occupò più di politica. Io cominciai a frequentare il mondo politico catalano. L’amicizia con quel giornalista fu anche la base sulla quale fondammo un settimanale satirico tutt’oggi pubblicato. Quanto a me, dopo un va e vieni mi sono trasferito a Barcellona.

  1. – Ha continuato ad occuparsi di politica?
  1. Ho frequentato l’ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), perché è un partito che è sempre stato indipendentista. Ma ovviamente ho osservato anche tutti gli altri. Dovunque ci sono partiti politici, in ogni caso, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti. Bisogna creare un’atmosfera culturale tale – scriveva accortamente Simone Weil – che un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito. La Weil respinge l’obiezione che l’abolizione dei partiti avrebbe colpito la libertà d’associazione e d’opinione. La libertà d’associazione è, in genere, la libertà delle associazioni, contro quella degli esseri umani. Oggi guardo alla politica con disincanto, e solo per spirito civico. Una cosa questa che mi permette riflessioni più pacate e meno influenzate dal… prendere partito.
  1. – Trova similitudini tra Italia e Spagna, e tra gli indipendentisti veneti e catalani?
  1. Moltissime. In ambedue i paesi c’è una classe dominante, non certo dirigente. I partiti politici hanno monopolizzato la scena politica ed occupato “militarmente” le istituzioni. I partiti da strumento di partecipazione dei cittadini alla vita politica sono diventati “possessori” della vita politica alla quale i cittadini sono invitati solo come spettatori. Nessuno spazio è lasciato a decisioni democratiche prese direttamente dal popolo (democrazia diretta). I partiti politici sono il veicolo per mezzo del quale personaggi disinvolti prosperano attraverso la corruzione e la concertazione (Tsz!). Se lo Stato Italiano ha gli scandali dell’Expo 2015 di Milano o del MOSE a Venezia (solo per citare gli ultimi in ordine di tempo, perché sin dal suo nascere lo Stato italiano è stato avvelenato da scandali d’ogni genere); la Spagna non è da meno. Il modus operandi è lo stesso.

In Spagna la corruzione e il saccheggio nelle istituzioni, non solo ha incrinato i pilastri della democrazia, ma è un peso che contribuisce ad aggravare la crisi. La corruzione politica, economica e istituzionale è il cancro di questa democrazia. I sondaggi e i reality show lo attestano. Gli spagnoli si sono recentemente risvegliati con la scandalosa storia di un generoso pay-off derivante da fondi “speciali” al top management delle casse di risparmio, o cajas, che deve essere ripianato a spese dei contribuenti. [VEDI QUI]. Mentre anche qui, come in Veneto, decine di piccoli imprenditori si suididavano perché non in grado di far fronte ai propri impegni finanziari, all’incirca un centinaio di alti dirigenti – alcuni dei quali gravitanti nell’area della Casa reale – spendevano e spandevano allegramente.

In Spagna come in Italia, i Consigli regionali, privati di ogni controllo centrale, hanno rivendicato prerogative pari a quelle del Parlamento nazionale, cominciando dall’autodichìa. Ovvero, l’insindacabilità assoluta su come spendono i soldi. Scandali a parte, in Italia, per esempio, è potuto accadere che il Consiglio regionale del Lazio abbia sfornato in meno di 40 anni 40 leggi locali ognuna delle quali ha accresciuto i privilegi retributivi e pensionistici dei Consiglieri. Il risultato è che oggi un terzo del bilancio del Consiglio laziale se ne va per pagare i vecchi vitalizi. Grazie alle antiche regole mai cambiate c’è pure chi continua a prendere l’assegno a cinquant’anni e dopo una sola seduta.

Che dire poi dei vitalizi? Le Regioni spendono per i vitalizi 173 milioni l’anno. Cifra che sale in continuazione ma che potrebbe essere ridotta di almeno 50 milioni, dice il finora inascoltato rapporto sulla spending review, senza gettare sul lastrico nessuno. Ma su questo, da chi si straccia le vesti per i tagli chiesti dal governo, neppure un sussurro.

PUJOLSe questa è la situazione in Italia, in Spagna le persone si raccolgono fuori della sede dei partiti politici a chiedere di porre fine alla corruzione del governo. Ci sono video in diretta streaming da Madrid e da Barcellona. [VEDI QUI]

  1. – Cosa ci dice sullo scandalo di Jordi Pujol “padre” politico dell’indipendentismo catalano, e Presidente della Generalitat de Catalunya dal 1980 al 2003?
  1. Uno scandalo ad orologeria. Per comprenderne la portata, è come se Alcide De Gasperi, fondatore della Democrazia Cristiana e uno dei padri della Repubblica Italiana, avesse intascato i 100 milioni di dollari, prestito Eximbank, che ottenne dalle autorità USA nel 1947 per il rilancio dell’economia e la ricostruzione italiana, e li avesse messi a disposizione di un suo conto personale. E quello che più sorprende – ma qui dobbiamo tener presente che ci troviamo di fronte ad un 84enne – è che Jordi Pujol ha accettato il ruolo della vittima sacrificale. Tanto alla sua età e con una magistratura molto simile a quella italiana (vedasi il Tribunal Constitucional)… Insomma, non importa a quale partito si appartiene, la «Casta» deve essere salvaguardata. Deve dare l’impressione di poter governare il rinnovamento, perché se si scoperchia il vaso di Pandora sono guai per tutti.
  1. – E di Artur Mas, che dal 2010 è il 129º presidente della Generalitat de Catalunya, cosa può dirci?
  1. Dal mio punto di vista anche lui appartiene alla «Casta», ed anche lui può essere inquisito come Jordi Pujol. La stampa di qui lo ha già ventilato. Malgrado in un primo tempo sembrasse disposto a spendersi in ogni modo per il referendum, ha oggi ripiegato su una consultazione con volontari e municipi in prima linea per dare forza al processo indipendentista. (Tsz!) Si dice pronto a sciogliere il governo della Catalogna solo se poi i partiti daranno vita ad “una lista unica indipendentista”. (Doppio Tsz!) Ed una volta che questa lista unica indipendentista vincesse le elezioni? Saremmo di nuovo daccapo. Il referendum non si potrebbe indire ecc. ecc. Di quale legittimità vogliono essere investiti Artur Mas & Co.? Non è forse vero che gli unitaristi non vogliono l’indizione di un referendum, perché sanno già che lo perderebbero?
  1. – Ci sta dicendo che si tratta di tattiche attendiste?
  1. Certo che sì! Sono le stesse tattiche dilatorie della Lega Nord in Italia. Prima volevano l’indipendenza di Veneto e Lombardia. Nelle scorse settimane per questo obiettivo hanno affermato d’aver raccolto 100 mila firme. A cosa sono servite? Adesso dichiarano che la via per l’indipendenza passa per l’autonomia. Il solo pensiero di argomentazioni come questa mi fa scompisciare dalle risa. Qui è necessario ritornare a quanto dicevo più sopra: gli stipendi ed i privilegi di questi “rappresentanti” sono troppo pingui, perché essi non assumano le vesti del Quislin di turno. Questa gente, come tutti i sedicenti indipendentisti che passando per le istituzioni italiane oggi vivono di vitalizi e pensioni da capogiro per il normale cittadino, non hanno alcun concreto interesse a che ci siano territori italiani che si rendono indipendenti. Specialmente quelli che forniscono maggior reddito impositivo allo Stato italiano. Quest’ultimo toglierebbe immediatamente gli uni e gli altri. Ora, se si pensa che alcuni di tali “rappresentanti” non ha mai lavorato o ha fatto lavori fittizi… beh! Ne tragga il lettore le conseguenze.

Non ci credete? La storia ci fornisce qualche conferma illuminante: nel 1959 una legge fu  votata per congelare le pensioni dei soldati dei paesi dell’impero coloniale francese che avevano lottato prima per la Francia Libera del Generale Charles de Gaulle durante la II G.M. e poi per le altre guerre coloniali (Indocina, Suez e Algeria) e che ora lottavano per l’indipendenza. Era l’epoca della sale guerre d’Algérie. Nel 2002, dopo un lungo processo, il Consiglio di Stato francese impose al governo di pagare integralmente quelle pensioni. I governi successivi non hanno mai rispettato quella deliberazione. E si badi bene: quei soldati “stranieri” avevano rischiato la vita per la Francia. Ora pretendereste che i nostri rappresentanti rischino la borsa? Osservate quanto sta succedendo alla Regione Veneto dove nell’ambito della redazione della nuova legge elettorale moltissimi si oppongono strenuamente al limite dei due mandati.

  1. – Ma la cosiddetta opinione pubblica, perché non reagisce adeguatamente?
  1. Secondo me la gente comune è nello stesso stato mentale degli ebrei tedeschi sino alla “Notte dei cristalli”. Vedevano e subivano le angherie dei nazisti, ma si dicevano tra loro: «Non è possibile che vadano oltre. Prima o poi se ne accorgeranno, faranno marcia indietro e rimetteranno le cose in ordine.» Ciò che avvenne ce lo dice la storia: con la “Notte dei cristalli” (Reichskristallnacht o Kristallnacht, ma anche Reichspogromnacht o Novemberpogrom) viene indicato il pogrom condotto dalle SS naziste nella notte tra il 9 e 10 novembre 1938 in Germania, Austria e Cecoslovacchia. Si parlò di 7500 negozi ebraici distrutti durante la notte del 9 novembre, di quasi tutte le sinagoghe incendiate o distrutte (secondo i dati ufficiali erano stati 191 i templi ebraici dati alle fiamme, e altri 76 distrutti da atti vandalici). Il numero delle vittime decedute per assassinio o in conseguenza di maltrattamenti, di atti terroristici o di disperazione ammontava a varie centinaia, senza contare i suicidi.

W L'ITAGLIAGli spagnoli e gli italiani che oggi pensano tra sé: «non può durare una tassazione ed una corruzione come quella che stiamo subendo. Prima o poi i governanti se ne accorgeranno e trarranno le loro conclusioni.» A mio parere nulla di più errato. Sotto i loro artigli, lo Stato è diventato uno spazio vuoto, pieno solo del denaro dei contribuenti; una res nullius esposta al saccheggio. Per pensare a un rimedio, bisognerebbe essere capaci di ripensare radicalmente la democrazia. E avere il coraggio di pensare a una democrazia senza partiti. I “rappresentanti” si sono infilati dappertutto. Siedono nei Consigli d’amministrazione delle banche. Sanno perfettamente qual è il risparmio dei cittadini. Tireranno la corda fino allo spasimo, finché potranno. Poi… “chi ha avuto, ha avuto. Chi ha dato, ha dato”, come dice una canzonetta napoletana.

  1. – Come evolverà, secondo lei, la situazione?
  1. Anche qui io credo che assisteremo ad un déjà vu. Tutti questi reiterati scandali non sono una novità. Nella crisi economica del 1993, per esempio, (meno grave di quella attuale) molti furono gli episodi di corruzione: il caso delle presunte influenze di cui fu accusato Juan Guerra, fratello del vicepresidente del Governo Alfonso Guerra; il caso Ibercorp in cui era implicato il governatore della Banca di Spagna Mariano Rubio; il caso del Direttore Generale della Guardia Civile Luis Roldán e di altre irregolarità nella gestione delle infrastrutture e dei ricorsi pubblici, corrosero la popolarità di Felipe González [segretario generale del PSOE (Partito Socialista Spagnolo) dal 1974 al 1997] e la credibilità del suo governo. Tale disgusto, unito all’esaurimento di un progetto sviluppato per oltre 14 anni e alla dura opposizione del Partito Popolare Spagnolo propiziarono la disfatta nel 1996 del PSOE nelle elezioni generali.

Analogamente alle prossime elezioni catalane l’ERC, da sempre partito indipendentista, farà il pieno di voti in Catalunya. Alcuni partiti catalani e spagnoli scompariranno, com’è del resto avvenuto in Italia. A livello nazionale gli spagnoli si orienteranno verso nuove formazioni. Per esempio: Podemos [http://asambleaciudadana.podemos.info/ ] un partito politico spagnolo, fondato nel 2014 da attivisti di sinistra legati al Movimiento 15-M. Qualcosa di molto simile al M5* del duo Casaleggio-Grillo.

Oltre ad organizzare un grande dibattito pubblico il gruppo di strategia elettorale di Podemos (che sembra favorevole all’indipendenza della Catalunya) cercherà di mettere a fuoco una strategia per il prossimo anno. I team di impegno metteranno a fuoco delle opzioni di tipo generale e comunale per unirsi in piattaforme civili più ampie.

Al momento non sono a conoscenza di loro progetti istituzionali innovativi. Esattamente ciò che manca all’indipendentismo veneto.

Su una cosa, tuttavia, i catalani si distinguono dai veneti. I primi hanno un consenso popolare immenso e verificabile. I secondi, allo stato attuale, sono più carenti. Specialmente ora che di giorno in giorno va facendosi sempre più evanescente la certificazione degli oltre due milioni di voti ottenuti con il plebiscito telematico del 16/21 marzo 2014. Ed una conferma in questo senso può essere rappresentata dalla raccolta dei 14 milioni di Euro necessari allo svolgimento del referendum consultivo per l’indipendenza conseguente alla Legge regionale 16/2014, che va decisamente a rilento, per non dire che ad oggi è un flop.

Anche sui frazionismi la storia è lì ad insegnarci che sono una costante degli indipendentisti. Gli algerini li superarono quando il FLN varò una piattaforma istituzionale. I palestinesi, divisi in più fazioni, al tempo in cui Yāsser Arafāt venne eletto Presidente dell’Autorità provvisoria (il 20 gennaio 1996), li superarono perché egli aveva un progetto istituzionale. Arafāt insistette sulla via del dialogo per tutta la seconda metà degli anni Novanta, che fecero registrare peraltro una fase febbrile dei negoziati: Oslo II, settembre 1995; Hebron, gennaio 1997; Wye Plantation, ottobre 1998; Šarm al-Šayh, settembre 1999.

Se guardiamo all’odierno ISIL/ISIS, ora sedicente califfato dello Stato Islamico, governato dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi, e depurando il fenomeno bellico-terroristico, ci troviamo di fronte ad un disegno istituzionale. Secondo Luciano Piacentini [http://www.analisidifesa.it/2014/10/piu-intelligence-contro-il-califfato/ ] lo scenario di contrasto del fenomeno non sembra tenere in considerazione che per la prima volta una forza jihadista è in grado di intrecciare il più brutale governo autoritario di un territorio, con una evidente capacità di aggregazione del consenso. Infatti l’ISIL ha:

  •  ricomposto, fin da settembre 2014, una moderna struttura di governo mantenendo ai loro posti i precedenti funzionari, purchè giurassero fedeltà allo Stato Islamico. Le istituzioni, così restaurate e ricostruite, sono in grado di fornire servizi di acqua e di energia elettrica e di occuparsi anche della manutenzione delle strade e della rete elettrica, aiutate da esperti stranieri;
    •    impostato un programma di welfare imponendo tasse ai più ricchi ed organizzando, con soft power, servizi sociali, prediche religiose e proselitismo;
    •    organizzato il governo del territorio con due vice califfi e 12 governatori in entrambi i territori siriano ed iracheno alle cui dipendenze operano consigli locali gestendo politica, Intelligence, finanza, questioni militari, assistenza ai combattenti stranieri, sicurezza ed una serie di fondazioni che diffondono CD, DVD, poster, pamphlet e propaganda sul web;
    •    istituito un consiglio della shura che ha il compito di assicurarsi che tutte le decisioni dei governatori e dei consigli corrispondano all’interpretazione della shari’a imposta dallo Stato Islamico.

A dispetto della sua brutalità, lo Stato Islamico si è ben radicato tra la popolazione, rimpiazzando un governo ritenuto corrotto con efficienti autorità controllate localmente. È  possibile che tale traguardo sia stato raggiunto dall’ISIL solo con le esperienze di gestione dei vecchi satrapi della Guardia Repubblicana di Saddam Hussein, che formano i quadri dirigenti dell’organizzazione, e con l’appoggio della popolazione sunnita del nord ovest dell’Irak? Appare poco probabile.

Insomma, per dirla fuori dai denti: ai politici catalani è stato detto “facite ammuina”. I Veneti – considerati la punta di diamante dell’indipendentismo dall’Italia – non hanno attualmente una formazione politica in grado di produrre un progetto istituzionale credibile. Hanno invece un sacco di aspiranti Quislin. Ed infine, sembrano avere scarsa presa sull’opinione pubblica in tema di indipendentismo. Non improvvisiamo quindi. Non facciamoci abbagliare da pseudo leader. Prendiamo lezioni dalla storia.

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