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Ecco il 90° segnale della ripresa: a picco l’apertura di partite iva

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derivadi LUIGI CORTINOVIS

Stipendi e tasse dei dipendenti pubblici sono pagati da chi produce ricchezza, non da forestali, professori, portaborse e compagnia cantante  Probabilmente, non ci arrivano quelli che stanno al governo (di qualsiasi colore siano), ma è un dato di fatto. Peccato, perchè le famose “Partite Iva” si stanno estinguendo.

“Nuove partite Iva ancora in forte calo. A febbraio, afferma il ministero dell’Economia, sono state aperte 42.799 nuove partite Iva e rispetto allo stesso mese dell’anno scorso c’è stata una flessione del 16,8%, dopo il pesante -29,7% di gennaio. Il 42,3% delle partite Iva avviate a febbraio, aggiunge il ministero, è al Nord, circa il 22% al Centro e il 35,6% al Sud e isole. Il confronto con lo stesso mese dell’anno scorso mostra che tutte le Regioni accusano flessioni di avviamenti: quelle più evidenti nelle Marche (-28,1%) e in Umbria (-24,3%), le più contenute in Sardegna (-6,1%) e Valle d’Aosta (-11,1%)”.

Senza dubbio un segnale di crescita!

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1 COMMENT

  1. Gli statalisti al potere hanno deciso di sterminare le partite iva usando gli stessi metodi in auge nell’Urss di Stalin: intimidazioni, minacce, campagne diffamatorie (“Evasori!”), insulti (“bottegai!”), sanzioni sproporzionate, tasse confiscatorie, accanimento burocratico.

    Ovviamente da un punto di vista economico si tratta di una follia completa, che porta alla rovina l’economia del paese.

    Dal punto di vista politico questa persecuzione ha invece una sua razionalità. La casta politica considera tutti i lavoratori autonomi inaffidabili, perchè si mantengono da soli senza dover dipendere dalla politica.

    Gli autonomi non sono inquadrati, servili e riconoscenti verso chi li mantiene con il denaro pubblico, come molti dipendenti statali e pensionati retributivi.

    Meglio quindi rovinare l’economia piuttosto che mantenere in vita una classe sociale che non ci dà il consenso: così ragiona la classe politica.

    L’imperativo politico prevale sull’imperativo economico.

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