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La curva di laffer, quando abbassare le tasse riduce anche la libertà

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LAFFER-BIRIdi GIOVANNI BIRINDELLI

La lezione improvvisata di Netanyahu all’Expo ha gettato luce mediatica sulla cosiddetta Curva di Laffer. Netanyahu ha spiegato quest’ultima allo stesso identico modo in cui a suo tempo mi fu spiegata all’università di economia e in cui, naturalmente, in questi giorni è stata spiegata dalla stampa mainstream alle masse. Questo modo di spiegarla tuttavia trascura un dettaglio secondo me fondamentale ed esprime il punto di vista dello stato moderno, non quello della libertà.

La Curva di Laffer può essere letta in tre dimensioni: quella teorica, quella statistica e quella etica.

La dimensione teorica (quella spiegata da Netanyahu col disegno sul tovagliolo, dalla mia università e dalla stampa mainstream) è banale. Se lo stato non imponesse tasse, il gettito fiscale sarebbe nullo per ovvi motivi (punto O). Se lo stato confiscasse tutto, il gettito fiscale sarebbe nullo perché nessuno si metterebbe volontariamente a produrre alcunché (punto ME, per Morte Economica). A parità di altre condizioni, esiste quindi un punto intermedio fra la pressione fiscale nulla e quella totale in cui il gettito fiscale è massimo (punto SMME, per Stato Moderno Massimo ed Efficiente). Se ci si trova a destra di questo punto (p. es. nel punto B), una riduzione della pressione fiscale (p. es. da p3 a p2) tenderà a produrre un aumento del gettito fiscale (da g3 a g2). Viceversa, se ci si trova sul punto di massimo gettito fiscale (punto SMME) o su un punto alla sua sinistra (p. es. nel punto A), una riduzione della pressione fiscale (p. es. da p2 a p1) tenderà a produrre una riduzione del gettito (da g2 a g1). Nella sua dimensione teorica, la Curva di Laffer è la rappresentazione grafica della scoperta dell’acqua calda. Un qualunque contadino sa che se non lavora la terra non avrà alcun raccolto; che se lavora la terra ventiquattro ore al giorno non avrà lo stesso alcun raccolto in quanto morirà di fatica; e quindi che esiste una combinazione ottimale fra lavoro e raccolto.

La dimensione statistica (quella su cui generalmente si concentrano gli studi accademici e quella a cui ha fatto anche riferimento il primo ministro israeliano in relazione al suo paese) è poco importante dal punto di vista teorico. Certo, può essere utile sapere che nel paese X (poniamo Israele) una riduzione di Y% della pressione fiscale ha prodotto un aumento Z% del gettito fiscale e che quindi in quel caso la teoria avrebbe, secondo alcuni, un riscontro empirico (mentre secondo altri, che magari fanno riferimento anche ad altre possibili variabili esplicative o a dati di altri paesi, no). Tuttavia, non bisogna dimenticarsi che i fenomeni sociali (e in particolare quelli economici) sono fenomeni complessi e che la teoria economica può essere dimostrata solo aprioristicamente sulla base della coerenza logica applicata all’azione umana, non sulla base di dati statistici. A differenza di quanto avviene per le scienze naturali, nelle scienze sociali e in particolare in economia i dati statistici non possono mai né dimostrare né confutare una teoria economica: “L’esperienza di un fenomeno complesso (e non ci sono altri tipi di fenomeni nel regno dell’azione umana) può sempre essere interpretata sulla base di varie teorie antitetiche. Il fatto che un’interpretazione sia da considerarsi soddisfacente o meno dipende dalla valutazione delle teorie in questione, valutazione che è stabilita ex-ante sulla base di ragionamenti aprioristici(Ludwig von Mises). Quindi il fatto che nel caso di Israele i dati offrano un riscontro empirico alla teoria va bene, ma la teoria rimarrebbe in piedi anche se per qualche ragione i dati non offrissero tale riscontro.

La dimensione etica è invece quella che viene quasi sempre passata sotto silenzio. È stata passata sotto silenzio da Netanyahu (naturalmente), a suo tempo dalla mia università e oggi dalla stampa mainstream, per esempio. Il punto centrale di questa dimensione è che una riduzione della pressione fiscale che tendesse ad aumentare il gettito fiscale (p. es. da p3 a p2), avrebbe implicazioni sulla libertà non solo diverse ma opposte a quelle di una riduzione della pressione fiscale che tendesse necessariamente a diminuire il gettito fiscale (p. es. da p2 a p1). Infatti, nel primo caso, dato il maggiore gettito, tale riduzione della pressione fiscale consentirebbe a uno stato moderno efficiente di avere le dimensioni massime possibili (e tanto maggiori sono le dimensioni e le funzioni dello stato, tanto minore è la libertà). Viceversa, nel secondo caso, dato il minore gettito, la riduzione della pressione fiscale sarebbe un passo nella direzione opposta al totalitarismo in quanto porterebbe a una necessaria riduzione delle dimensioni e delle funzioni dello stato.

Coloro che vivono di stato tendenzialmente ricorrono sempre (per ovvi motivi) all’argomento collettivista espresso da Netanyahu: “Se vi trovate in B, pagate troppe tasse: riducendo le tasse potete aumentare il gettito fiscale”. Non è raro, tuttavia, che questo argomento collettivista sia usato anche da quei “liberali” che hanno un approccio esclusivamente o prevalentemente “pragmatico”. Questi ultimi infatti usano a volte la curva di Laffer per argomentare che, in una situazione come quella attuale italiana per esempio, ridurre le tasse conviene non solo ai sudditi dello stato moderno ma anche allo stato moderno. Questo approccio tuttavia non è molto differente da quello dello schiavo che ricorda al padrone che se continua a usarlo troppo al di là dei suoi limiti fisici accorcia la sua vita e quindi i servizi che può rendergli. In altri termini, questo approccio esprime il punto di vista dello stato moderno, non quello della libertà.

Una caratteristica che spesso accomuna i “pragmatici” è quella di ritenere che una riduzione della pressione fiscale costituirebbe un aumento della “libertà economica” e un aumento della “libertà economica” costituirebbe un aumento della libertà. La Curva di Laffer ci ricorda che non è necessariamente così. Una diminuzione della pressione fiscale nella direzione di un maggiore gettito fiscale (p. es. da p3 a p2) aumenterebbe le risorse a disposizione dello stato e quindi le sue dimensioni e funzioni, il che implica una riduzione della “libertà economica” e, più in generale, della libertà. Lo stato infatti potrebbe utilizzare le maggiori risorse per maggiori finanziamenti alla “cultura”, per esempio, oppure per fare guerre, per migliorare l’efficacia della sua azione repressiva e regolamentatrice, ecc.

In altri termini, la dimensione etica della Curva di Laffer ci aiuta a ricordare che la libertà è una e non è parcellizzabile. Essa può essere definita come quella condizione in cui la coercizione di alcuni su altri è ridotta il più possibile ed è limitata alla difesa della Legge intesa come principio, cioè come regola generale e negativa di comportamento individuale valida per tutti, stato per primo (ove ci fosse) allo stesso modo ed esistente indipendentemente dalla volontà di qualunque autorità e di qualunque maggioranza.

Partendo da una situazione in cui la pressione fiscale fosse superiore a quella che consente il massimo gettito fiscale, una riduzione della pressione fiscale sarebbe necessariamente un passo avanti verso la libertà solo nei limiti in cui puntasse a dimensioni e funzioni dello stato nulle o non arbitrariamente minime (nel senso appena accennato): non nei limiti in cui puntasse a massimizzare il gettito fiscale dello stato. E l’unica bussola che consente di puntare alle dimensioni e funzioni dello stato nulle o non arbitrariamente minime è la Legge intesa come principio, cioè come limite non arbitrario a ogni forma di potere (tale bussola quindi è in primo luogo qualitativa, non quantitativa). E non può mai essere ricordato abbastanza spesso che la Legge è l’opposto del positivismo giuridico e cioè della “legge” per come è intesa per esempio dalla costituzione italiana: lo strumento di potere politico arbitrario, il provvedimento particolare deciso da un’autorità secondo le procedure burocratiche previste.

La presentazione comune della Curva di Laffer adotta implicitamente il punto di vista dello stato moderno: per questo viene presentata dai leader dei governi più efficienti e i burocrati a cui questi la disegnano su un tovagliolo chiedono ossequiosamente se possono prenderlo con sé. Chi ragiona in termini di libertà e non di catene non punta a uno stato efficiente e al massimo gettito fiscale, ma a uno stato nullo o minimo e quindi a una pressione fiscale nulla o comunque ben inferiore a quella che consente il massimo gettito fiscale. In altri termini, egli non confonde una riduzione della pressione fiscale con una maggiore libertà. Sebbene questa sia una posizione di principio essa è, in subordine, anche pragmatica: infatti solo la libertà consente una prosperità crescente e sostenibile.

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9 COMMENTS

  1. Il rimasticamento teorico di Laffer rimane comunque sostanzialmente una ripresentazione di più astratte, ma originali, leggi del margine.
    Anche lo stato è soggetto alle stesse leggi di chi non vuole esserne sottomesso.
    Se serve perché la gente ne parli e si interessi a concetti economici…va bene. Ma.,…
    Sempre grazie a Giovanni Birindelli.

    Fenomenale:”la rappresentazione grafica della scoperta dell’acqua calda”.

  2. Come al solito Giovanni Birindelli ha approfondito in maniera originale la questione, e mi complimento per il suo acume.

    Dopo aver letto l’articolo, mi chiedo però: dobbiamo allora dispiacerci se lo Stato, abbassando le tasse, finisce per incassare di più? Io credo di no. Non possiamo condannare o rifiutare una riduzione delle imposte solo perché, alla lunga, ci guadagna anche il Nostro Nemico, lo Stato!

    Perché lo Stato inglese nel XIX secolo aveva una flotta così potente, che gli permetteva di dominare il mondo? Perchè in Inghilterra vigeva una maggiore libertà economica e le tasse erano basse. Di conseguenza l’economia era molto produttiva, e quindi le entrare dello Stato inglese erano superiori a quelle degli immensi imperi ottomano o cinese con le loro imposte confiscatorie.

    Lo stesso discorso si può fare per gli Stati Uniti e l’Urss nel XX secolo.

    Gli Stati più liberali diventano quindi più forti degli altri, e spesso sconfiggono i propri rivali, raggiungendo la supremazia mondiale.

    Tutto bene allora? Purtroppo c’è un aspetto oscuro in questo processo, e su questo ha ragione Birindelli.

    Gli Stati “liberali”, diventati troppo forti, dei veri e propri imperi, assumono un aspetto sempre più pericoloso. Finiscono per utilizzare le ricche risorse che prelevano dalla società contro la società stessa. L’economia rallenta, le entrate diminuiscono, e comincia il periodo di decadenza.

    Questo copione si è ripetuto molte volte nella storia. Non so se esiste un modo per invertire o arrestare questo processo.

    • Grazie Guglielmo per l’obiezione. Io credo che in parte, da una prospettiva storica, tu ti sia già risposto da solo in due punti. Il primo quando ricordi che le tasse relativamente basse e la relativa libertà economica consentirono allo stato britannico del XIX secolo di dominare il mondo, cioè di esercitare coercizione sulle popolazioni, anche se in questo caso prevalentemente quelle straniere. (Non scordiamoci tuttavia che all’epoca la Banca d’Inghilterra di fatto funzionava come una banca centrale e che se non mi sbaglio la convertibilità della sterlina fu sospesa più volte a causa di crisi bancarie, le quali furono la conseguenza della legge di Peel che, pur riconoscendo l’illegittimità e la dannosità economica dell’inflazione monetaria, commise il tragico errore di non considerare il credito come denaro e che quindi fu inefficace). Il secondo punto in cui dal mio punto di vista tu hai risposto da solo alla tua obiezione da un punto di vista storico è quello che chiami “aspetto oscuro”, che a me tuttavia sembra molto chiaro: laddove le risorse degli stati sono cresciute, prima o poi c’è sempre stata una degenerazione sotto forma di espansione delle dimensioni e delle funzioni dello stato (hai citato gli USA e il Regno Unito del XIX secolo: basta guardarli oggi).

      Tuttavia, nell’articolo ho tentato di rispondere in modo analitico (non storico) a questa sensata obiezione. Ci riprovo in altre parole. Le tasse sono solo uno dei vari elementi che compongono la violazione della libertà economica; e quest’ultima è solo uno degli elementi che compongono la libertà. Se diminuendo le tasse si aumentano le entrate dello stato (cioè si consente a questo di espandere le sue dimensioni e funzioni) c’è poco da stare allegri. Certo, le tasse saranno diminuite (nel breve termine). Ma adesso lo stato avrà più risorse per mettere gli autovelox in ogni angolo, per registrare e archiviare ogni telefonata o email dei suoi sudditi, per assicurarsi che tutti i suoi comandi siano rispettati (e basterebbe questo per paralizzare l’economia), per creare nuove agenzie, nuove sovvenzioni, ecc. Si, le tasse saranno diminuite (nel breve periodo), ma la libertà sarà anch’essa diminuita. E se non diminuisce subito, diminuisce nel tempo, soprattutto nei sistemi “democratici” in quanto come sappiamo (e come vediamo) in questi sistemi ci sono gli incentivi contrari a mantenere nel lungo periodo il capitale (che per il padrone dello schiavo è lo schiavo, e che per lo stato moderno sono i non-parassiti, cioè le persone produttive). Dato che, a seguito di tasse che sono state diminuite a questo scopo, lo stato si è espanso e la libertà è diminuita (e quindi è diminuita anche la prosperità), nel tempo anche le stesse tasse (intese in senso lato: cioè includendo fra le altre cose generalmente non prese in considerazione anche la perdita del potere d’acquisto della moneta) tenderanno a rialzarsi (diminuendo ulteriormente la libertà) per cercare di mantenere le accresciute dimensioni dello stato (che ha un’elasticità spontanea solo nel senso dell’espansione, non in quello della restrizione). Quindi, dal mio punto di vista, l’obiettivo è l’aumento della libertà, e quindi la riduzione delle dimensioni e delle funzioni dello stato. Una riduzione delle tasse che puntasse ad aumentare il gettito fiscale diminuirebbe la libertà (e quindi la prosperità). La libertà può aumentare solo con la riduzione delle dimensioni e delle funzioni dello stato, e quindi, fra le altre cose, con una riduzione delle imposte che punti, non al gettito massimo, ma a un gettito nullo o non arbitrariamente minimo.

      PS. Un modo di invertire il processo di cui parli dal mio punto di vista è quello di invertire l’idea astratta di legge. Per motivi strategici, tuttavia, non dall’alto ma dal basso, affiancando istituzioni informali libere a quelle formali totalitarie (questo è un tema complesso che non può essere affrontato qui, però nel campo del denaro Bitcoin è già un esempio).

      • Correggo: non furono le tasse relativamente basse che consentirono al Regno Unito del XIX secolo di dominare il mondo ma, più precisamente, il maggiore gettito fiscale derivante da una politica fiscale assennata (dalla prospettiva dello stato moderno)

  3. Come si sentirebbe una popolazione di produttori con una pressione fiscale ridotta in misura più che discreta?
    Quanto si troverebbe di più in tasca?
    Come vivrebbero le famiglie?
    Che diverso modo di vivere potrebbero sperimentare?
    Potrebbero tornare a risparmiare.
    Io ritengo che una situazione del genere piacerebbe alla maggioranza dei pagatori.

    E’ anche vero che l’appetito vien mangiando, e che in seguito vengano richieste ulteriori riduzioni delle imposte, perché si sa si sta meglio con più soldi in tasca e maggiori possibilità di scelta.
    In sostanza il punto sulla curva, se la gente che lavora e produce non vuole più esser tartassata e chiede ulteriori riduzioni fiscali, si sposta sempre di più al punto in cui ordinate e ascisse si incontrano.
    Dove il gettito fiscale cala, e dove la libertà per forza aumenta con uno stato più povero e meno potente.

    Ma lo stato , ritengo, si guarderà bene dal percorrere la curva verso sinistra.
    Di certo non sotto il suo apice.

    Da qui risulta evidente l’importanza che questo movimento lungo la curva sia prodotto e innescato da una protesta fiscale diffusa.
    E in tal caso lo stato non potrà che soccombere, perché i produttori avranno più soldi , più scelta, più libertà e più forza.

  4. Da una parte è anche vero che il gettito fiscale aumenta in valore assoluto, ma diminuisce in percentuale. Ovvero le risorse in mano allo stato (ladro) aumentano, ma diminuiscono relativamente al totale delle risorse disponibili. Questo vuol dire che ci sono più risorse a disposizione del mercato, che può usarle contro lo stato, che si trova comunque in svantaggio rispetto a prima. Ad esempio se noi abbiamo 100 risorse, poniamo p3 60% quindi g3 sarà 60, mentre al mercato restano 40 risorse, quindi risulta subordinato. Mettiamo di ridurre la pressione al 50%, questo fa aumentare le risorse totali, grazie al mercato più competitivo, mettiamo a 200. Quindi ora lo stato(ladro) avrà gettito 100 invece di 60, ma il mercato avrà 100 risorse da usare a proprio piacimento, anche contro lo stato stesso (aumentando ad esempio la percentuale di dipendenti privati rispetto al pubblico).

    • Grazie per il commento. Capisco l’obiezione, ma anche se il mercato disponesse dello stesso ammontare di risorse dello stato, non le potrebbe “usare contro lo stato” come lei sostiene per due ragioni. La prima è che lo stato detiene il monopolio della violenza (e il fatto stesso che possa tassare è un riconoscimento implicito di questo fatto). La seconda è che lo stato è una singola organizzazione (semplificando, una buona parte di quei 100 le può usare per il fine di reprimere il mercato, se vuole), mentre il mercato è un ordine spontaneo: cioè non è una singola organizzazione ma una costellazione di moltissime organizzazioni (le imprese) ciascuna delle quali deve far quadrare i propri conti (chi vendendo scarpe, chi affittando case, chi vendendo macchinari). E’ quindi estremamente difficile (per non dire impossibile) che queste imprese possano usare anche solo una parte di quei 100 contro lo stato: sia perché è molto difficile (per non dire impossibile) che riescano a coordinarsi (non sono una singola organizzazione); sia perché l’esistenza stessa di quei 100 implica che esse dedichino tutti i loro migliori sforzi all’attività economica, non all’aggressione dello stato.

  5. Sempre fonte di riflessioni e di ispirazione gli scritti di Giovanni Birindelli. La mia dopo la lettura di questo articolo è la seguente.

    Secondo Laffer se lo Stato abbassa le tasse (o le alza fino a un certo livello e non oltre) allora il gettito aumenta e per Giovanni Birindelli (e anche per il sottoscritto) questo è male, perchè lo Stato si troverebbe ad avere più risorse. Il che equivale, per chi ritiene che le tasse prelevate coercitivamente siano SEMPRE un furto, a disporre di un bottino ancora più grande. Si rischia però un corto circuito logico. Se le tasse si abbassano l’entità del bottino non può aumentare. Se così fosse allora avrebbero ragione coloro che sostengono che se tutti pagano le tasse esse saranno più basse per il singolo contribuente.

    Ma Laffer ci sta dicendo esattamente quello che vanno blaterando i “tassator cortesi”. Detta in altro modo, se la base imponibile si allarga, l’entità del “coercitivamente incassato”, ceteris paribus, aumenta. Solo così si evita il corto circuito logico. Il fatto è che non è mai ceteris paribus! E la storia dell’eterna lotta tra i tax payer e i tax consumer è li a dimostrarlo.

    Quindi dal punto di vista matematico e logico la funzione di Laffer sarebbe sostenibile, ma non è realistica. Le tasse, come scrive Birindelli, devono tendere a zero individualmente e collettivamente non per calcolo pragmatico ma per imperativo morale perchè il furto è sbagliato. Se così non sarà, esse tenderanno a infinito (inteso come morte dell’economia). Potranno essere tollerabili per lungo tempo, anche per decenni, ma poi “la natura dello scorpione” prenderà il sopravvento ed egli pungerà, cioè lo Stato non saprà più limitarsi.

    Come giustamente sottolineato da Giovanni, uno schiavo che prende troppe bastonate diventa poco produttivo e Laffer ci sta dicendo che noi schiavi dobbiamo essere bastonati con giudizio altrimenti diventiamo “meno derubabili”. Per chi non desidera la libertà ma solo un po’ meno bastonate Laffer è perfetto. Per me assolutamente no.

    • Grazie Mauro del commento. Mi sembra che la vediamo sostanzialmente allo stesso modo, tuttavia non sono d’accordo sul cortocircuito logico. Dal mio punto di vista, la curva di Laffer e l’affermazione che se tutti pagassero le tasse allora queste sarebbero più basse per il singolo contribuente sono due tesi indipendenti (la prima tra l’altro valida, la seconda no). Il principio che sta alla base della curva di Laffer è che se a una persona viene tolto di meno di quello che produce allora essa avrà un maggiore incentivo a produrre (ma se lo stato vuole togliere il più possibile a quella persona allora non deve toglierle troppo né troppo poco). Questa tesi è secondo me vera perché deriva aprioristicamente dalla logica applicata all’azione umana: non è quindi un principio matematico, ma logico, economico. Viceversa, la tesi in base alla quale se tutti pagassero le tasse allora queste sarebbero più basse per il singolo contribuente non ha nulla a che fare, dal mio punto di vista, con la curva di Laffer: quella tesi infatti non deriva da un ragionamento economico ma da un’operazione matematica di divisione aritmetica. Ed è falsa proprio perché trascura la logica applicata all’azione umana: cioè perché trascura il fatto che la presenza di maggiori risorse a disposizione di un potere arbitrario illimitato porta questo a espandersi, non a contrarsi né a mantenere le sue dimensioni. Sono due cose che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra: una (la curva di Laffer) è una tesi economica vera; l’altra è un’operazione matematica che ignora la scienza economica, ed è totalmente falsa.

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