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Il nostro è il tempo della menzogna

Da leggere

di ENZO TRENTIN

Le università fanno a gara per sfornare laureati in scienze della comunicazione, segno che l’informazione è qualcosa di molto complesso e “malleabile”. Lo è sempre stata in verità, ma in questi ultimi anni si stanno raggiungendo soglie incredibili. Un esempio tra i tanti: ci sarebbe qualche difficoltà a definire «attacco terroristico» un assalto a una base militare di stanza in un paese straniero, anche perché in quel periodo (23 ottobre 1983: 241 marines USA e 58 parà  francesi uccisi) le forze americane e francesi compivano pesanti bombardamenti navali e raid aerei sul Libano, e poco tempo prima, nel 1982, gli Stati Uniti avevano garantito un sostanziale supporto all’invasione israeliana, che provocò la morte di circa ventimila persone, devastò l’area meridionale del paese e ridusse in macerie buona parte di Beirut.

Con in mente questa premessa abbiamo raccolto le riflessioni di un’ala non minoritaria dell’indipendentismo veneto, in quanto buona conoscitrice della storia, come ebbero a constatare gli inquirenti dei primi “serenissimi” sin dall’oramai lontano 1997. Secondo costoro la dirigenza della Lega Nord, e i suoi succedanei pseudo indipendentisti lombardo-veneti, finiranno presto per seguire la sorte degli Harki algerini che non erano francesi, e non furono mai considerati algerini.

È la recente adunata degli Alpini a Treviso che ha avviato la discussione per un’associazione d’idee con la memoria degli Harki. Gli Alpini formatisi il 15 ottobre 1872, sono il più antico corpo di fanteria da montagna attivo nel mondo, originariamente creato per proteggere i confini montani. Malgrado ciò nel 1888 gli Alpini furono inviati alla loro prima missione all’estero, in Africa, e poi a combattere tutte le guerre volute dai Savoia, dal fascismo, ed ultimamente dalla Repubblica italiana malgrado questa: «…ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…» (Art.11 della Costituzione). Analogamente agli Harki algerini che si sentivano “francesi per il sangue versato” in circa 130 anni di presenza francese nella loro terra, gli Alpini lombardo-veneti possono sentirsi italiani per essere stati costretti a combattere sempre in guerre d’aggressione.

Per questa disamina partiamo allora dal termine Harki, un nome che copre una realtà complessa ed eterogenea: tutti i musulmani, siano essi armati o civili, che sono rimasti fedeli alla Francia durante la guerra d’Algeria (1954-1962). Si consideri, poi, che i musulmani algerini servirono come soldati regolari nell’Armée d’Afrique français fin dal 1830, come Spahis (cavalleggeri), e come Tirailleurs (cacciatori). Solo durante la prima guerra mondiale, circa 100.000 Harki persero la vita combattendo contro i tedeschi. Mentre nella seconda guerra mondiale, dopo la riorganizzazione delle forze della Francia libera in Nordafrica nel 1942-1943 da parte degli Alleati, gli harki furono 233.000, e costituivano più della metà degli effettivi del ricostituito esercito francese. Il contributo maggiore lo offrirono durante la liberazione del sud della Francia, con il Corps expéditionnaire français en Italie e nelle campagne in Germania del 1944-1945. I tirailleurs provenienti dall’Algeria, combatterono anche in Indocina come parte del corpo di spedizione francese, fino alla caduta di Dien Bien Phu l’8 maggio 1954, ed il conseguente abbandono di quella colonia.

Con l’avvio della guerra d’Algeria il 1° novembre 1954, la lealtà dei soldati musulmani algerini nei confronti della Francia venne inevitabilmente messa a dura prova. Secondo il generale R. Hure, nel 1960 erano circa 150.000 i musulmani algerini alle dipendenze dell’Armée de terre: oltre ai volontari ed ai coscritti in servizio nelle unità regolari, come descritto nella tabella a fianco. Di contro, secondo l’esercito francese erano un massimo di 50.000 i “fellagas” aggregati al FLN [Front de Libération Nationale].

La decolonizzazione sembra essere un passato che non passa mai, che turba i sonni dei francesi, agita i loro storici, alimenta le polemiche. Anno dopo anno, nuovi pezzi di storia vengono alla luce o sono reinterpretati. Sin dal 1954 i musulmani mobilitati durante il 1914-1918, il 1939-1945, e la guerra d’Indocina, sono un obiettivo primario per il FLN, che vieta loro sotto pena di morte, di indossare le loro medaglie, e incassare la loro pensione di guerra. Molti sono stati bruciati vivi nella bandiera francese. Queste vittime civili rappresentano circa 50.000 persone alla fine della guerra in Algeria. Così come sono quasi 290.000 le persone direttamente minacciate di morte, e più di un milione di persone se includiamo le loro famiglie. A causa del rifiuto del governo francese ad adottare le misure necessarie per proteggerli, 150.000 di loro saranno uccisi in condizioni spaventose (di questi orrori non tratteremo), dopo 19 Marzo 1962, la data ufficiale del cessate il fuoco.

Con l’indipendenza d’Algeria non sono le torture inflitte ai militanti indipendentisti ad occupare la ribalta della cronaca, ma la sorte riservata agli Harki che furono massacrati dai soldati del Fronte di liberazione nazionale nei mesi che seguirono gli accordi di Evian, nel marzo 1962. Le cifre sul loro massacro sono ancora oggi controverse. Se gli harki che rimasero in Algeria furono perseguitati e uccisi perché erano considerati “francesi”, i circa 21.000 mussulmani (tra cui 12.500 harki) che con le loro famiglie riuscirono a riparare in Francia erano considerati “algerini”. I rifugiati saranno concentrati in campi allestiti in fretta e furia, in luoghi isolati e inadatti (gli chiamavano “villaggi della foresta”) per un soggiorno durato decenni. Con un ordine, datato 21 luglio 1962, fu anche ritirata loro la nazionalità francese malgrado da un punto di vista strettamente giuridico essi fossero “francesi rimpatriati dall’Algeria”.

Secondo il giornalista Georges-Marc Benamou, autore di un libro “La menzogna francese”, fu il governo francese, e in primo luogo il generale Charles de Gaulle, ad abbandonare alla loro sorte gli Harki. Egli non sopportava i “PiedsNoirs” (i francesi d’Algeria), né i musulmani francesi. Il 23 maggio 1962 dichiarò: «Dobbiamo combattere l’infiltrazione degli Harki.» Ed in occasione del Consiglio dei Ministri del 25 luglio 1962 aggiunse: «Il termine rimpatriato, ovviamente, non si applica ai musulmani: non ritornano alla terra dei loro padri!»

Insomma, gli harki che con il tempo ammonteranno a circa 400.000 persone, non potevano più essere algerini; ma non furono mai considerati francesi. Solo 1994, per essi sarà emanata una legge che esprime il “riconoscimento” della République française, e a circa 15.000 famiglie sarà versato un indennizzo pari a 110.000 franchi.

Chi fosse interessato a tutta questa vicenda può consultare il sito delle loro memorie: VEDI QUI

In questo stralcio del film franco-marocchino «L’ennemi intime» 

realizzato da Florent Emilio Siri, ed uscito nel 2007, c’è tutta la filosofia del dramma algerino,

valido anche per certo pseudo indipendentismo lombardo-veneto:

Dopo questa succinta disamina storica, s’intende che tra gli indipendentisti da noi ascoltati non c’è nessuno che vuole imitare gli orrori dell’FLN algerino.

C’è tuttavia un rassomigliante filo conduttore:

  1. come gli Harki gli pseduo indipendentisti della LN, e suoi surrogati, sostengono di voler entrare nelle istituzioni per trasformarle dal loro interno; ma già in troppi hanno fallito questo obbiettivo per essere credibili.
  2. gli Harki non volevano l’indipendenza. L’Algeria, a differenza delle altre colonie, era simile alla Bretagna, alla Provenza, alla Corsica; ovvero pari a tutti gli altri Dipartimenti metropolitani.
  3. Gli Harki volevano il conseguimento di pari opportunità e dignità tra francesi mussulmani, franco-algerini (detti PiedsNoirs) e francesi metropolitani. E pensavano di ottenere ciò collaborando con “l’occupante”. Similmente a quanto credono gli pseudo indipendentisti che affermano di volere l’indipendenza attraverso l’ottenimento dell’autonomia. Sostengono, infatti, di voler diventare come l’Alto Adige, ma ciò è impossibile per ragioni oggettive.
  4. intanto la LN e suoi surrogati incassano privilegi e prebende dallo Stato italiano che affermano di disapprovare.
  5. non c’è conflitto armato con lo Stato italiano (questo, per fortuna, nessuno lo vuole), ma è esasperata la contesa, e alimentata la discordia tra le varie formazioni sedicenti indipendentiste in modo tale che un fronte comune non si è mai formato. Con grande sollievo del regime buro-partitocratico italiano.

Sostiene quest’ala non minoritaria dell’indipendentismo veneto da noi ascoltata: i sedicenti indipendentisti incistati nelle istituzioni italiane, cioè la Lega Nord e la sua succedanea brodaglia, non avranno molto tempo per godere dei loro privilegi. Le laute prebende avranno poco tempo a disposizione per “succhiare ancora il midollo”. Soprattutto gli indipendentisti lombardo-veneti non potranno considerarli dei loro; mentre l’Italia potrà anche considerali suoi “figli”, ma non avrà di che “nutrirli”.

La Repubblica italiana è per certi versi assai simile alla Quatrième République française; ovvero lo Stato che si venne a costituire in Francia dopo la seconda guerra mondiale. Nata il 13 ottobre 1946 con l’approvazione della nuova costituzione, per molti aspetti essa apparve nient’altro che la continuazione della Terza Repubblica, soprattutto considerato il quadro di uguale instabilità politica. La quarta repubblica si rivelò in poco tempo come una debole forma di governo parlamentare: in dodici anni di durata (1946-1958) vi si susseguirono ben 22 governi differenti, alcuni di durata effimera. Il sistema politico si reggeva sul Partito Comunista Francese (PCF), la Sezione Francese dell’Internazionale Operaia (SFIO) e il Movimento Repubblicano Popolare, partito moderato di centro. Similmente la sinistra italiana dei giorni nostri, non è favorevole né all’autonomia, né al federalismo; tantomeno all’indipendenza di una parte del suo territorio. Ciò nonostante l’indipendentismo algerino era combattuto come una vera e propria guerra civile, anche se all’ONU era stata descritta come un’operazione di pacificazione. Il clima politico franco-algerino era di forte instabilità e di sostanziale ingovernabilità, col grave pericolo di ulteriori rovesci, inefficienze e prevaricazioni.

E qui si deve prendere atto dall’ennesima conferma dello stato di dissesto dell’Italia. Secondo i principali risultati emersi dall’Osservatorio su fallimenti, procedure e chiusure di imprese relativo al primo trimestre 2017, diffusi dal Cerved – gruppo leader in Italia nell’analisi del rischio di credito e nella gestione dei crediti deteriorati – complessivamente, in Italia, sono ben 19.000 (diciannovemila!) le imprese che hanno lasciato il mercato (fallite o chiuse) cancellando decine di migliaia di posti di lavoro fra gennaio e marzo 2017. C’è perfino chi riesce a sostenere che siano dati “positivi”, ma i numeri sono invece agghiaccianti. Nei primi tre mesi del 2017 le chiusure aziendali sono più di 211 (duecentounidici!) al giorno, qualcosa come più di otto aziende che ogni ora del giorno e della notte, sabati e domeniche inclusi, chiudono i battenti nel “Belpaese”. [VEDI QUI]

Non bastasse ecco cosa ha denunciato in questi giorni il Consigliere comunale Mauro Aurigi [VEDI QUI] per quanto riguarda il passaggio di proprietà ed il conseguente crollo del Monte dei Paschi di Siena: «Allora si oppose solo l’«Associazione per la difesa del Monte», in sintonia con la stragrande maggioranza dei Senesi (le Contrade affissero anche un pubblico manifesto). Lo scontro ovviamente fu impari (furono respinti ben tre tentativi di indire un referendum comunale) e la banca fu “privatizzata”, termine che ha la sua radice in “privare”. Come aspettarsi, dopo, che il Monte non facesse la fine di tutte le imprese pubbliche quando vengono privatizzate? Si pensi a come è stata ridotta la Telecom, già più grande impresa italiana, dopo la privatizzazione.

Ciononostante l’«Associazione» fece immediato ricorso al TAR (la banca apparteneva all’erario comunale e non a quello statale), il quale assai sollecitamente rispose 11 anni dopo e solo per sapere se eravamo ancora interessati all’emissione di una sentenza. Ovviamente neanche rispondemmo: come interloquire con un TAR che, per annullare le nuove nomine nella Deputazione amministratrice del Monte fatte dal sindaco Piccini nel 1995 in funzione anti-privatizzazione, ci mise invece solo 20 giorni dalla presentazione di un ricorso avanzato dallo stesso Monte? […] Quella “senesità” che è l’unico motivo per cui, caso unico al mondo, una piccola città emarginata fisicamente e culturalmente – la più piccola della Toscana, isolata nel profondo sud della regione – aveva potuto partorire, nutrire e fare crescere la banca più antica e tra le più solide del pianeta, certamente la più ricca e solida del nostro Continente. Una banca insomma che altrimenti avrebbe potuto stare solo a Singapore o Francoforte o New York e anche a Milano, ma mai a Siena, dove sarebbe soffocata sul nascere.»

Insomma, similmente agli Harki algerini, gli pseudo indipendentisti non avranno alcun vantaggio ad essere italiani, ed i lombardo-veneti, una volta realizzata l’autodeterminazione non avranno alcun interesse a tutelarli. Anzi, ove ricorresse il caso, è possibile che li metterebbero sotto processo come è stato fatto, ad esempio, con Giancarlo Galan (Deputato e Presidente della Regione Veneto, in quota FI) ed alcuni altri “disinvolti” sostenitori del regime partitocratico.

Concludendo, la predetta ala indipendentista veneta sostiene che il «diritto di secedere» e il «diritto di resistenza» («diritto di insorgere») sono le due essenziali facoltà prepolitiche su cui si fondano tutti i sistemi istituzionali. In quanto tali, anche se non si trovano esplicitamente menzionati nella maggior parte delle Costituzioni, rappresentano il punto da cui partono e il punto a cui ritornano le aggregazioni politiche di ogni tempo e di ogni luogo. Queste due regole si trovano infatti a monte di ogni processo costituente, ed è per la loro efficacia che si crea, o si dissolve, una sintesi politica.

Se non si riconosce il diritto degli uomini liberi ad affrancarsi da un ordinamento tirannico non altrimenti modificabile («resistenza»), o a separarsi da una comunione politica che non è più conveniente («secessione» come «diritto di stare con chi si vuole»), tutte le costruzioni istituzionali esistenti sarebbero inefficaci per un vizio di legittimità insanabile.

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3 COMMENTS

  1. In fatto di contraddizioni mi sembra che i francesi abbiano il primato e sono riusciti ad esportarle in tutta Europa, non si sa se è per la loro incosciente leggerezza che riesce da secoli ad affascinare i nostri pensatori intellettuali politici… e se ci lamentiamo con loro di quel che ha fatto Napoleone in Italia, ci ridono in faccia ribattendo che era italiano…. e forse hanno ragione.

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