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Indipendentismo ed analisi sociologica, spiegazione di un popolo

Da leggere

di ALESSANDRO MORANDINI

indipendentismo padanoL’attrezzatura che la riflessione sociologica, nel corso degli ultimi decenni, ha procurato agli studiosi che affrontano i problemi di interazione tra individui,  non consente di avanzare previsioni certe o probabilistiche.

L’analisi sociologica può essere di aiuto nella ricerca dei meccanismi a grana fine che riguardano i fatti sociali. Più che prevedere  il futuro della società, e quindi anche dell’indipendentismo, la ricerca sociale seria incrementa la conoscenza relativa al modo in cui alcuni eventi possono dipendere da altri. Soprattutto ci aiuta a smascherare le semplificazioni e le bugie che non raramente vengono usate, in buona fede o in malafede, per convincere le persone a credere in spiegazioni eccessivamente semplificate.

Capire i meccanismi dell’interazione è utile ad evitare l’errore di individuare relazioni causali inesistenti tra eventi passati; ma quando si tratta di prevedere ciò che succederà in futuro, le scienze sociali non possono vantare la precisione tipica delle scienze della natura. Tanto le complessità psicologiche quanto le complessità sociali ci impediscono di poter indicare con precisione, tra i meccanismi che conosciamo, quali interverranno in determinate circostanze. Se limitiamo l’analisi del sistema ad un certa scala, grazie alla chimica o alla fisica possiamo isolare le cause per prevedere gli effetti; nel livello di analisi proprio della sociologia, viceversa, sono solo gli effetti a consentirci di conoscere le probabili cause.

Rispetto alla lotta indipendentista, si può solo riconoscere che meno un popolo cede alle ingenuità, più è votato all’indipendenza.

L’individuo nel mondo indipendentista

L’importante è non crederci troppo

Mi è capitato di leggere interventi, anche acuti, profondi, interessanti che definiscono la fine dell’Europa degli stati-nazione come una specie di ineluttabile destino neanche troppo distante nel tempo. Io spero che sia proprio così, ma la speranza, la credenza, la convinzione individuale e collettiva che tutto ciò debba prima o poi accadere non garantiscono il risultato. Non è affatto vero che l’importante è crederci; non sono pochi i casi di azioni collettive in cui, affinché si realizzino i desideri condivisi è decisivo il fatto che non tutti credano ciecamente che si dovranno prima o poi realizzare. Anche perché sostenere una cieca credenza di questo tipo comporta alcune importanti contraddizioni.

Una contraddizione

Bisogna distinguere tra chi propone il radioso destino dell’indipendenza di un popolo in termini di probabilità, da chi dice di crederci, da chi ci crede veramente.

Questi ultimi non dismettono i panni dell’attivista; è curioso notare che spesso, tanto maggiore è l’espressione della credenza, tanto maggiore la partecipazione. Ma se si è veramente convinti che il futuro che ci aspetta non può che rispondere esattamente alle nostre aspettative, perché attivarsi per contribuire a determinarlo? Se sappiamo che incrementiamo di zero la probabilità che un certo evento si avveri, l’autentica e prevalente motivazione della nostra partecipazione non può essere il semplice desiderio di realizzarlo. Se sappiamo che salendo su un autobus raggiungeremo sicuramente la destinazione desiderata, non ci preoccuperemo di convincere il conduttore e gli altri passeggeri che dirigersi verso la nostra meta è la scelta migliore. Saremo noi a scegliere quell’autobus perché desideriamo viaggiare comodi.

Desideri e credenze

Le credenze descrivono i vincoli e le opportunità che ci separano dallo scopo, e quindi contribuiscono a definire l’azione, che privata di ogni credenza è impossibile. Per quanto possiamo desiderare di raggiungere Marte, abbiamo bisogno di credere che è possibile farlo mediante uno specifico mezzo.

Ma ciò che spinge un individuo all’azione non sono le credenze e, per nulla, le quasi-credenze (vedremo dopo di che cosa si tratta). Sono i desideri, le motivazioni, le emozioni.

Il nostro desiderio, però, può essere così forte da costruire credenze ad hoc e quasi sicuramente false. Può essere altrettanto forte ma spingerci alla ricerca di informazioni che vogliamo valutare attentamente, verificare; in questi casi pur desiderando un certo risultato non smettiamo di cercare ulteriori informazioni  che confermano o disconfermano le nostre credenze razionali e falsificabili.

Motivazioni

Si può cooperare ad un’azione collettiva per il piacere di partecipare (una motivazione, questa, non consequenzialista); anche una forte emozione, positiva o negativa, potrebbe costringermi ad abbracciare sporadicamente la causa indipendentista (per esempio un inaspettato conato di indignazione può portare sullo sfondo ogni considerazione razionale); potrei anche essere motivato dall’opportunità di ottenere vantaggi personali prodotti da effetti secondari.

Credere aprioristicamente che l’Europa farà propria un’interpretazione radicale ed intransigente del diritto all’autodeterminazione dei popoli, credere che l’indipendenza di ogni nazione che la rivendica rappresenti una specie di approdo naturale della civiltà occidentale non mi impedisce di agire. In linea di principio però esclude che la motivazione principale della mia azione consista nel puro desiderio di raggiungere l’indipendenza del territorio che amo e di cui mi sento parte.

Se l’indipendenza è conseguenza di una lotta, appaiono rischi ed indeterminatezza. Se l’indipendenza è sicuramente già data prima del suo apparire, siamo di fronte ad una credenza cieca, per la quale la lotta non è il mezzo con cui si può o non si può realizzare quel fine, ma il mezzo per soddisfare altri desideri o per esprimere l’urgenza dell’azione motivata da una emozione.

Le motivazioni in rapporto ai risultati

La motivazione è un elemento che, nel medio periodo, contribuisce a determinare l’esito di un’azione, soprattutto se collettiva. Benché ogni azione collettiva sia la conseguenza di diverse motivazioni individuali, è bene non fidarsi troppo di chi sostiene di credere ciecamente che prima o poi un territorio raggiungerà la sua indipendenza. Chi si esprime in questo modo può essere in malafede o, più probabilmente, un illuso che non ha gli strumenti per capire le contraddizioni del suo pensiero.

Ciononostante nelle azioni collettive, quando si raggiungono importanti dimensioni, tanto le persone che sviluppano credenze razionali, quanto le persone che sviluppano credenze irrazionali e motivazioni non sempre limpide, sono necessarie.

Scarto tra i desideri e le utilità attese: l’emergere di quasi-credenze

Un intenso desiderio indipendentista può, per vari motivi, non produrre nell’individuo importanti utilità attese dalle azioni finalizzate all’indipendenza. Alcuni motivi che più frequentemente determinano questo scarto sono: un sensibile sconto del tempo (desidero ardentemente l’indipendenza ma, pensandola molto distante nel tempo, il desiderio si attenua e viene superato da altri meno intensi ma immediatamente realizzabili), false credenze che offrono una lettura alterata delle opportunità, il meccanismo della volpe e dell’uva acerba (inizialmente desidero ardentemente l’indipendenza ma, non riuscendo a scorgere le opportunità per realizzarla, cambio il mio desiderio).

In questi ed in altri casi è possibile che alcune persone continuino a dire di credere nella destinazione all’indipendenza di un popolo, anche se si tratta in realtà di una quasi-credenza. Le quasi-credenze non costituiscono mai la premessa di un’azione. Il loro è un valore di consumo che testimonia, viceversa, l’indisponibilità all’agire. La quasi-credenza procura un auspicio che non influisce direttamente ed in modo significativo sul comportamento, ma alleggerisce, conforta e genera sollievo.

Tra il 30% di abitanti del nord Italia che interrogati dai sondaggisti rispondono di desiderare l’indipendenza della propria regione, la maggior parte di essi, interrogata più a fondo, rivelerebbe, oggi, una quasi-credenza sulla possibilità di raggiungerla. Mancando o venendo meno una credenza razionale o irrazionale, il desiderio produce una quasi-credenza consolatrice.

Fiducia

Fidarsi significa rinunciare a prendere precauzioni. Una volta maturata la credenza razionale che l’indipendenza è solo uno dei possibili futuri, poiché desideriamo che essa si realizzi ci rivolgiamo positivamente, in termini appunto di fiducia, a quelle persone che dimostrano di crederci nello stesso modo in cui ci crediamo noi.

In un movimento allo stato primitivo la fiducia è sempre ben risposta perché le persone coinvolte stanno vivendo, insieme, un’esperienza di autentica rinascita individuale. Sono come gli innamorati. Non si tratta neanche, in realtà, di fiducia, ma addirittura di riconoscimento reciproco. Ciascuno sa che l’altro è mosso da identici desideri, da buone motivazioni, da una particolare intelligenza e sensibilità grazie alle quali le azioni collettive, spesso spontanee e quasi prive di coordinamento, risultano sempre molto adeguate.

Ma quando viene meno questa fase straordinaria ci si può fidare delle persone sbagliate; sbagliate perché false e motivate prevalentemente da desideri egoistici o perché, in buona fede, soggette a meccanismi psicologici che di fatto allontanano il raggiungimento dell’indipendenza.

(2 – CONTINUA)

 

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